lunedì 31 dicembre 2007

Giornata piovosa

Oggi è stata una giornata piovosa e mia moglie è meteoropatica (o meteoro-antipatica, come le dico sempre io), quindi niente foto.
In realtà non abbiamo fatto cose che richiedessero molte foto. Dovevamo andare al Corrumbine Sanctuary (una specie di parco naturale con centinaia di animali che vengono regolamente nutriti e che possono essere osservati ad orari regolari (giustappunto durante i pasti). Con la pioggia però non era troppo il caso, quindi abbiamo cambiato programma e Peter e Julie ci hanno portato alla spaccio della Billabong (un marchio australiano molto in voga tra i surfisti). Ale non è rimasta soddisfatta perché non ha trovato niente di abbastanza colorato e non abbiamo preso.
Ho visto una cosa fantastica: un costume in tinta unita sul quale compare un disegno quando lo bagni. Però non avevano la mia misura.
Prima di arrivare allo spaccio, Julie ci ha portato a visitare la sua scuola, la All Saints Anglican School. Devo dire che ne valeva la pena.
Visto che oggi non ci è successo molto ed io sono un grafomane, ora vi beccate la palla sul sistema scolastico australiano. Se non vi interessa, saltate le prossime righe. Peter e Julie ci hanno spiegato che qui si comincia ad andare a scuola a 5 anni (qualcuno anche a 4). Dopo la Primary School, in cui tutte le materie sono obbligatorie, si continua con la Secondary School. Non esistono diverse scuole, come da noi: devi però scegliere le materie che vorrai frequentare. Le uniche materie obbligatorie sono Inglese ed Educazione Fisica e devi scegliere un tot di materie (mi par di ricordare 7 o 9). In pratica ti costruisci la tua specializzazione ed una sola scuola ospita tutte le specializzazioni.
Questo è possibile anche perché in Australia ci sono solo 25 milioni di persone, incredibilmente distribuite.
Julie ci ha spiegato che, poiché la scuola abbraccia un territorio molto vasto, ospita circa 1.600-1.800 studenti e contiene sia la scuola primaria che la secondaria.
La scuola è privata ed è una vera e propria cittadella. Ci sono due piscine (quella per i piccoli e quella per i grandi), due palestre, le aule computer (questa scuola ha 600 PC con Windows per uso degli studenti), la mediateca (qui tengono invece alcuni MAC, perché più adatti), le aule tecniche (non ho visto i laboratori scentifici ma le aule per la lavorazione del legno e quelle con i torni sono meravigliose), l'aula magna e non so più cos'altro.
Un esempio su tutti: l'aula di Julie, che insegna cucina, ha 6 postazioni di lavoro per gli studenti (che quindi sono a gruppi di quattro) ed una telecamera che riprende quello che lei fa e lo riproietta su uno schermo in modo che tutti gli studenti possano vederlo. Ogni postazione di lavoro ha il proprio forno e 4 fornelli (oltre al tagliere, etc). L'aula di cucito (obbligatorio, come la cucina, alla scuola primaria sia per maschi che per femmine) ha una postazione con macchina da cucire per ciascuno studente.
Ovviamente la scuola è privata e quindi si paga per andarci. Non ho foto da mostrarvi, ma credo che possiate cercarvi il sito della scuola, tanto per dare un'occhiata.
Sulla strada del ritorno, Peter e Julie ci hanno lasciato a Surfers Paradise. Si tratta di una cittadina turistica (pure troppo): meta dei surfisti di tutto il mondo, meta dei diciottenni australiani che finiscono il liceo e si fanno un viaggio di due settimane a fine novembre (sì, qui la scuola inizia a metà gennaio e finisce a novembre, le vacanze sono un po' sparpagliate), meta di quelli che seguono la formula Indy perché uno dei circuiti è l'autostrada della Gold Coast.
Oggi al mare non c'è nessuno perché non si può nuotare né fare surf (a causa del mare grosso) e quindi sono tutti all'interno dei centri commerciali.
Ci facciamo un giro e compriamo due costumi (uno per Santi ed uno per me), mangiamo, altro giro per cercare un regalo per Peter (che domani compie 58 anni). Infine torniamo a casa.
Serata tranquilla: fuori piove e non c'è niente da fare, quindi stiamo a casa a guardare il capodanno a Sydney (che sarà un'ora prima per via dell'ora legale).
Per ora auguriamo un
BUON CAPODANNO A TUTTI E FELICE NUOVO ANNO!!!!

Springbrook e Byron Bay

Ieri siamo andati a Springbrook. E’ un luogo che dista meno di un’ora di macchina da Palm Beach ma è in montagna.

La prima destinazione della mattina è stata il sentiero delle Purling Brook Falls. Si tratta di un sentiero circolare di circa 5 km che va dalla cima alla base della cascata.

All’inizio del sentiero, se non fosse per il fatto che ci sono palme ed alberi di felce, potrebbe sembrare un bosco della Toscana. Man mano che scendiamo e che il fondo della cascata si avvicina, il paesaggio inizia a diventare di nuovo quello della foresta pluviale: palme ed alberi incredibilmente rigogliosi, vegetazione lussureggiante, fichi strangolatori che formano intrecci lacoontici con gli alberi ospite, alberi che sono stati colpiti dal fulmine ed hanno fori nella corteccia grandi da poter ospitare una persona e cicale che fanno un rumore continuo ed assordante.

Sì, perché nel frattempo le nuvole che c’erano stamani si sono diradate, è uscito il sole e fa più caldo. Scendendo si sente cantare l’uccello “frustino”, così detto per il verso che finisce con quello che sembra il rumore di un frustino.

La cascata si è progressivamente avvicinata ed ora ci siamo praticamente sotto. Lo spettacolo è, come sempre, mozzafiato ma con una novità: il percorso prosegue dietro la cascata.

Andando avanti scopriamo che il sentiero è chiuso per lavori e quindi invece di finire il giro, torniamo indietro.



La cosa è interessante, anche perché sulla via del ritorno vediamo cose nuove, ad esempio dei gufi, (che riusciamo a fotografare) ed un kookaburra: è un uccello dal verso simile a quello di un pollaio (nel senso che fa il verso di 10 galline tutte insieme). Non siamo riusciti a fotografarlo.


Una seconda cascata che troviamo è praticamente un velo d’acqua che scorre lungo il muro. E’ bellissimo. Risalendo non si può fare a meno di guardare il cielo che mi stupisce ogni giorno di più: oggi è un cumulo di nuvole con sprazzi di azzurro qua e là. Ogni tanto piove per pochi minuti e poi smette.

Tornati alla macchina, ci mettiamo in cerca della casa di alcuni amici di Peter e Julie. Stanno ristrutturando una casa da queste parti ed hanno preso quella vicina in affitto in modo da fare i lavori con maggiore tranquillità. La casa in ristrutturazione è fantastica, sia per come la stanno arredando, sia per la visuale che ha davanti: si vedono le montagne ed, in lontananza, tutta la costa.

Ci offrono il tè e Julie ne approfitta per tirar fuori le tartellette fatte la sera precedente e riempite con il lemon curd. Sono quasi le 11.30. Mi par di essere diventato un hobbit: colazione, passeggiata nel bosco, seconda colazione, altra passeggiata (però più breve), pranzo e così via.

Comunque, mentre stiamo lì a mangiare le tartellette, arrivano uccelli strani: il butcher bird, uccello macellaio, detto così perché si mangia gli altri uccelli; invece delle molliche gli tirano i pezzetti di carne che lui afferra al volo (sarà abituato con le mosche). Poi ci sono degli uccelletti azzurri (sembra la mamma con i piccoli perché li imbocca, ma i piccoli sono più grossi della mamma) che mangiano pane ammollato nell’acqua.

Ripartiamo ed andiamo a cercare il “Belvedere Migliore” (non scherzo, si chiama proprio così Best of All Lookout). Non lo troviamo ma facciamo il pic-nic previsto a Goomoolahra. Qui, le aree attrezzate per pic-nic sono davvero attrezzate: barbecue pubblici con legna offerta dal Parco Nazionale, tavoli con panche, addirittura una casetta coperta per quando piove. Noi ci facciamo i panini (pomodoro, mostarda (senape, non mosto), formaggio a fette, prosciutto cotto), mangiamo un po’ di frutta (banane, ciliegie, uva, pesche nettarine) e via, per il sentiero delle “Cascate Gemelle”.


Questo sentiero è sconosciuto ai nostri amici e quindi ci fermiamo a guardare le mappe che, di tanto in tanto, troviamo sul sentiero con l’indicazione “Voi siete qui”.

Questo sentiero è diverso dal precedente. Si parte sempre dalla cima della cascata, ma qui la foresta è già molto tropicale. Ritroviamo gli alberi con le radici a forma di vela per attaccarsi bene alle rocce, i fichi strangolatori, gli alberi caduti, ecc.

Inoltre questo sentiero è contornato, sul lato sinistro, da una parete di roccia, che a volte forma nicche e passaggi dall’aspetto curioso.

Qui inoltre è tutto molto fangoso. Io e Santi ci siamo portati solo i sandali, gli altri sono con le scarpe da ginnastica. Sob.

Le cascate qui sono, se possibile, ancora più belle ed il sentiero ci passa sempre dietro. Quante sono? Ho perso il conto. Forse sempre la stessa che incrociamo più volte.

Il sentiero è pieno di colori e rumori nuovi. Talvolta passiamo sotto un arco di roccia o ci sediamo sotto una pensilina che un tempo era rifugio degli aborigeni. Anche Peter e Julie restano stupiti della bellezza di questi luoghi.

Al termine del circuito il sentiero attraversa il fiume. Dalla passarella vediamo alcuni granchi (?) che lottano per il territorio e riusciamo a fotografarli. Julie dice che sono molto rari. Ne sono rimaste poche centinaia nel mondo.


Siamo fortunati, come con il tempo: a Cairns, dove eravamo qualche giorno fa, ora è in corso un ciclone. Qua gli effetti sono limitati: tempo nuvoloso con possibili piogge (per fortuna quasi mai quando siamo all’aperto) e mare agitato.

Ultima tappa, il Natural Bridge un arco naturale al di sotto del quale vivono una serie di vermi fluorescenti che producono luce per attirare gli insetti e papparseli.

Il sentiero è molto facile e fin troppo frequentato. Il momento migliore per vedere i vermi sarebbero le 7 di sera, ma siamo già stanchi ora e quindi ci accontentiamo dei tre puntini luminosi che ci appaiono. Troviamo però un bellissimo lucertolone lungo una ventina di centimetri che si presta alle nostre foto. Ne avevamo visto anche un nero (che qui chiamano triglia di terra) lungo mezzo metro che però si era molto offeso per il fatto che Gianni l’aveva quasi pestato prima che Alessandra lo vedesse ed era scappato.

A quest'ora, nonostante sia tardi, il cielo è un po' più chiaro e si intravede la costa in lontantanza.

A casa: doccia, cena a base di toast-sandwich e a nanna. Siamo più che cotti.

Stamani siamo stati a Byron Bay. Inizialmente eravamo partiti per andare a vedere i mercatini hippie, ma probabilmente abbiamo sbagliato giorno, o forse orario. Fatto sta che abbiamo fatto una lunga passeggiata al faro (ebbene sì, un altro e bello anche questo).

Sulla scogliera c’era un vento incredibile: a volte facevamo fatica a far stare ferma la macchina fotografica.

Il mare oggi è bellissimo: il ciclone che sta imperversando al nord (siamo ai tropici in fondo e ci sono abbastanza abituati), provoca mare agitato inadatto al surf per inesperti. Ci vogliono tavole corte e riflessi prontissimi poiché le onde sono brevi e veloci. Peter, che nonostante li porti in una maniera spettacolare avrà 58 anni martedì, preferisce le tavole da surf lunghe, che sono più adatte per onde più lunghe e lente, che ti danno il tempo di decidere cosa fare.

Il mare è così mosso che non ci arrischiamo a fare il bagno. I nostri amici ci dicono che loro, che vengono qui solo d’estate, non hanno mai visto questo tratto di mare così agitato. Di solito è liscio come un olio.


Le onde si infrangono sugli scogli e la schiuma bianca, mescolandosi all’acqua grigia (perché riflette il cielo) gli dà una sfumatura grigioverde. Il vento, qui sempre forte, piega le piante che, sul crinale della collina sulla quale si erge il faro, hanno imparato chi comanda e crescono già con i rami che formano un arco. Così il vento può passare.

Alla fine del sentiero ci rendiamo conto che è allagato. Alessandra si bagna i pantaloni e li toglie (tanto sotto ha il costume e qui si può andare in giro abbastanza casual). Poi facciamo una passeggiata sulla spiaggia e fotografiamo i surfisti (e Santi guarda le surfiste, di cui pubblichiamo foto per far invidia a Zu’ Saro).


A proposito, lo sapete come arriva qui Babbo Natale? Guardate la decorazione su questa casa.

Un kebab, un ultimo sguardo al cielo e via verso casa. Al supermercato Alessandra si accorge che Peter è scalzo: lo dicevamo, no, che si può andare in giro casual. Scoop: al supermercato hanno il cremor tartaro, una specie di lievito che sia l’Artusi che il nostro libro di dolci inglese citano spesso e che in Italia si trova solo nei negozi specializzati.

A cena: noodles con pollo e verdure. Cibo asiatico (i noodles sono una specie di spaghetti, li fanno anche i ristoranti cinesi italiani) cucinato da Julie, la quale è dotata di tutta una serie di salsine che non abbiamo mai visto prima e che cucina nello wok su un fornello collegato al fantastico barbecue a gas.

Santi ieri alla domanda: “Ti è piaciuto il barbecue?” ha risposto: “Mi ci metterei macari iu e mi mangiassi” (non sono sicuro di aver riportato fedelmente, ma il senso si capisce: gli è piaciuto).

sabato 29 dicembre 2007

In Gold Coast

Riconsegniamo la macchina ed al check-in ci informano di un ritardo di tre ore. “Ci dispiace, abbiamo cercato di contattare tutti”. Facciamo la faccia feroce, come da consigli di Claudio (il nostro amico aero-consulente), e prima che apriamo bocca per dire qualsiasi cosa ci procurano tre buoni pasto da 8 dollari ciascuno (meglio che niente e poi ci bastano per la cena due tè e una cioccolata).
Arriviamo alle 22 a Brisbane, con il povero Peter che ci attende da almeno mezz’ora. Alle 23.30 siamo a casa sua e andiamo di corsa a letto.
Qui la cosa funziona diversamente: i padroni di casa saranno a casa con noi. Li abbiamo conosciuti in Italia (sono simpaticissimi) e vogliono guidarci nel nostro tour della Gold Coast.
Stamani ci siamo svegliati con calma e siamo usciti con Peter e Julie per una breve camminata (circa 5 km). I figli erano andati a fare surf ma, secondo Peter, non era la giornata migliore.
La passeggiata passa per un parco naturale su un promontorio e ci vengono mostrati molti degli alberi che avevamo già visto ma con alcune peculiarità. Un esempio per tutti: qui la maggior parte degli alberi ha radici che escono dal terreno e sembrano vele: sul promontorio non c’è molta terra e gli alberi si sono adattati a stare in equilibrio in questo modo sul versante, per non cadere verso il mare.
Al ritorno ci hanno preparato la classica colazione australiana. Todd, il secondo figlio, ripartito nel pomeriggio per Melbourne, ha aiutato Julie a tagliare le verdure, dimostrando una notevole abilità con i coltellacci da cucina (evidentemente Julie, che per mestiere insegna economia domestica, è davvero una brava maestra).
Nel frattempo Peter accende il barbecue. Ebbene sì, qui anche la colazione si cucina sul barbecue, non sulla parte a griglia (dove si fa rigorosamente solo la carne per pranzo e cena), ma sulla parte con piastra.
Prima il bacon, tolto solo quando è ben croccante, poi le verdure e le uova ad occhio di bue dentro speciali formine. Se l’uovo lo vuoi ben cotto, lo rigirano con la paletta.



Ovviamente pane tostato, caffè sbobbone o tè, marmellata, burro salato.
Fantastico. Per pranzo faremo una cosa leggera…


Dimenticavo: vengono a colazione qui anche due pappagalli variopinti, che vengono nutrii
Dopo colazione, ampio giro sulla spiaggia e bagno nell’oceano ondoso. Qui non abbiamo fatto foto significative. Come puoi fotografare l’infinito, il vento sul viso, il calore del sale sulla pelle, l’odore del mare? Non si può. Spero solo che queste sensazioni non lascino ma il nostro cuore.

La passeggiata ha avuto un risvolto culturale: ho scoperto che su questa costa sono state affondate navi dai tedeschi sia nella prima che nella seconda guerra mondiale (l’Australia è sempre stata alleata della Gran Bretagna). E che anche qui festeggiano il 25 aprile, The Anzac Day, nel quel le forze unite di Australia e Nuova Zelanda hanno sconfitto i tedeschi a Gallipoli (ma guarda tu, vien fuori che ci hanno liberato loro. E noi che finora abbiamo idolatrato gli americani…).

Alessandra trova un pellicano e lo fotografa.


A pranzo panini con gamberoni e avocado. Alla faccia del pranzetto leggero. Ma la cena, ci dicono, sarà una cosa veramente ridicola.
Nel pomeriggio Julie, organizzatissima e cortesissima, tira fuori tutti i depliant che ha per aiutarci nel programmare questa settimana. Domani andremo sul monte Tambourine, se ci assiste il tempo. Poi si vedrà.
Prima di cena ci facciamo un giro sulla spiaggia: il mare è ancora più meraviglioso ed agitato. In lontananza uno strano arcobaleno. Strano, eppure non piove. Ok, abbiamo capito l’antifona: al mare piove e tra poco pioverà anche qua. Rientriamo.
A cena un insalata con tutto: pomodori, pera, formaggio, peperone rosso, carote, cipollotto fresco, lattuga. Dressing fatto in casa sotto forma di salsina di yogurt, mostarda (senape, non mosto) e aceto balsamico. Di contorno: pollo arrostito al barbeque. Meno male era una cena leggera.
Dopo cena, documentario sulla Great Ocean Road e poi Julie ha fatto il Lemon Curd per domattina. Ragazzi!!! E’ una delle cose più buone che abbia mai assaggiato. Una crema grassissima al limone.
Siccome da sola non si può mangiare, ha fatto anche le tartine di frolla da riempire.
Fantastico.

giovedì 27 dicembre 2007

Ultimo giorno a Cairns

Abbiamo passato il giorno di Natale abbastanza in panciolle: a giro era tutto chiuso, il tempo non era dei migliori e volevamo riposarci. Quindi, a parte un po’ di chiacchiere con le famiglie e le coccole al gatto, non abbiamo fatto niente di natalizio.
Ieri, qui era il Boxing Day (nessun idea su cosa voglia dire ma ci informeremo) e siamo andati a fare una gita (in auto) nella foresta pluviale, lungo i fiumi Mossman e Daintree.
Lungo la strada si sono avute le prime avvisaglie di quanto fitta sia la foresta più a nord: ad un tratto il cielo è stato oscurato dal famoso canopy o baldacchino della foresta: chiome degli alberi così fitte da non lasciar passare la luce (come avevamo già detto) e la spiaggia ha iniziato ad essere invasa dalle piante. Oltre la spiaggia, fin dentro il mare, arrivano le mangrovie, piante in grado di filtrare il sale dall’acqua marina e di espellerlo dalle foglie. Le frequenti piogge provvedono poi a lavarlo via.
Ci siamo fermati a Mosmann (stavolta città) per vedere il Mosmann Gorge, ovvero la gola che il Mosmann (fiume) si è scavato tra le rocce.

Il paesaggio è come al solito stupendo e qui ci si può persino fare il bagno nel fiume, quando il tempo lo permette. Gianni però non è troppo in forma e quindi non preme per il bagno. [Ebbene sì, mi sono preso tosse, raffreddore e forse influenza, per entrare ed uscire dal frigo. Mi spiego: nella casa in cui siamo ospitati il frigo è una stanza nella quale, con tutti gli scaffali, ci si sta comodamente in tre. Così se devi prendere qualcosa devi entrare completamente nella stanza].
Anche qui abbondano le leggende ed i collegamenti con le simbologie. La montagna oltre la gola è chiamata Majal Dimbi dagli aborigeni. Significa “montagna che trattiene”. Una roccia di forma umana rappresenta Kubirri, un dio che è venuto in aiuto delle popolazioni locali e trattiene con il suo corpo uno spirito malvagio che le perseguitava. Kubirri è conosciuto anche come Il buon pastore. Sono sempre più impressionato dalle leggende aborigene.
Sono impressionato anche dai colori fantastici degli insetti. Come ve la immaginereste voi una libellula? Qui hanno varie tonalità di blu.
Facciamo una breve passeggiata sulle passerelle nella foresta. Ci colpisce particolarmente un ponte che sembra sorretto solo da corde e che non può portare più di 20 persone. Gianni lo fanno salire da solo.
Prossima fermata: il traghetto sul Daintree. Il traghetto porta una ventina di auto al massimo e si muove lungo un cavo tirato da un capo all’altro del fiume.
Un cartello avverte: attenzione, pericolo di inondazioni, non scendere dalla macchina. Il fiume, tra l’altro, è frequentato da coccodrilli.
Scesi dal traghetto iniziamo a capire cosa vuol dire essere circondati da foresta fitta. Sta piovendo ed il cielo è scuro, dobbiamo accendere i fari. Imbocchiamo la strada per Cape Kimberly. E’ sterrata ma possiamo farcela.
Scesi dalla macchina, attraversiamo una stradina circondata da mangrovie. AHHHHH!!! Alessandra ha visto un ragno gigante passare da un mangrovia all’altra. Gianni ha visto solo qualcosa di grosso che si muoveva. Scopriremo più avanti che probabilmente era solo un granchio.
Sul momento acceleriamo verso la spiaggia. E’ molto bella ma la luce non è delle migliori.
E’ quasi ora di pranzo e vogliamo mangiare al Dragonfly a Cape Tribulation. Saltiamo quindi tutto ciò che c’è da vedere nel mezzo. Lo vedremo al ritorno.
Ad un certo punto, troviamo una fila di macchine. Non è normale: qui passa un’auto ogni mezz’ora. Alessandra scende per capire cosa è accaduto: la strada è allagata e non si può passare. I fuoristrada e i pulmini passano lo stesso. Poi si arrischia anche qualche auto più bassa. Un pulmino a noleggio si ferma in mezzo al flusso d’acqua e non riesce più a ripartire. Un paio di energumeni lo spingono fuori prima che riusciamo ad arrivare in aiuto e riparte senza problemi.
Un auto segue timidamente il pulmino e passa indenne. Santi, che ne capisce più di me di auto, mi dice che quel modello è più basso dell’auto che abbiamo noi. Ok. Allora passo anche io. Nessun problema ma abbiamo un quesito: riusciremo a tornare indietro? Non se continua a piovere.
Andiamo a pranzo. E’ il Boxing Day, quindi hanno solo barbecue: bistecca o hamburger oltre all’insalata. Non ci poteva andare meglio. La carne è ottima e l’insalata è molto particolare: Noodles, carotine, insalata, caponata (in Toscana la chiameremmo peperonata, ma non ci hanno messo peperoni, quindi trovo più indicato il termine siciliano) di aglio intero e melanzane. Tutto molto buono.
Il ristorante è tutto in legno ed ha una terrazza che si affaccia direttamente sulla foresta pluviale. Cibo e spettacolo in un colpo solo.
Dopo pranzo torniamo subito indietro. Siamo troppo preoccupati per l’allagamento. Per fortuna la situazione è incredibilmente migliorata e passiamo senza alcun problema.
Ora possiamo fermarci. Cow Bay è un’altra spiaggia molto bella. Poi tocca al Daintree Discovery Centre. E’ un posto in cui le passerelle sono poste a varie altezze ed in cui una torre ti porta fino al famoso baldacchino o tetto della foresta pluviale.
Qui si potrebbero vedere uccelli variopinti, se fossimo venuti da marzo a settembre o anche moltissimi animali se fossimo all’alba o al tramonto. Epperò sono le 14 del 26 dicembre e non si vede un …beep………
Non è vero. Riusciamo a fotografare dei magnifici ragni tropicali.
Per inciso, visto che qui hanno tutti il fuoristrada, hanno pensato bene di adeguare i dossi. Date un po’ un’occhiata a questo.
Tornando ci fermiamo al belvedere di Alexandra Range, ma ormai abbiamo gli occhi pieni di meraviglie e questo non ci sembra gran che.
Sulla strada invece l’oceano ci regala ogni tanto qualche scorcio mozzafiato e ci fermiamo a fotografare.
Tornando a casa ci aspetta una brutta sorpresa: la pioggia torrenziale ha mandato in corto circuito qualcosa e nelle prese di corrente non c’è corrente. Telefoniamo ai padroni di casa ma pare che non sia un comportamento ricorrente, quindi ci dobbiamo arrangiare. Durante la notte sentiamo uno strano segnale d’allarme che non riusciamo ad identificare. Quello e le rane (che si stanno godendo come matte l’acquazzone tropicale in corso) ci svegliano di continuo.
Stamani Gianni ha un illuminazione: stacchiamo tutte le leve del quadro generale e riattacchiamole una alla volta. Così capiremo cosa non va. L’idea sembra buona: funziona così bene che è tutto attaccato e funziona tutto. Curioso. Forse troppo carico? Forse si è asciugato qualcosa? Chissà.
Facciamo due lavatrici ed un asciugatrice (ebbene sì, qui i panni si mettono nell’asciugatrice, anche perché da dopo l’acquazzone tropicale abbiamo il 98% di umidità e vorrei vedere voi a farli asciugare con metodi naturali).
Alla fine, una volta staccato tutto, la corrente si stacca di nuovo. Riapplicando il metodo precedente (stacco tutto e riattacco una cosa alla volta) scopriamo che il problema è dato dalle prese cui sono attaccati computer, microonde e TV. Tenendo staccato il generale di quelle prese, il resto funziona.
Alle 14.30 impacchettiamo e partiamo: l’aereo parte alle 17, dobbiamo fare il check-in alle 16, restituire la macchina e Gianni è parecchio (oh, ma parecchio!!!) rompiscatole con il non fare tardi.
A proposito, ancora non vi abbiamo fatto vedere la foto del ragno di casa. Eccola qua.


martedì 25 dicembre 2007

Buon Natale

Questo Natale è strano. Ci manca la famiglia e le cose che facciamo di solito (anche se quando le facciamo, le riteniamo di routine).
Anche per gli altri è così. Ieri sera, parlando con Francesca, mi ha detto: “Non è come sempre: di solito ci siete tu ed Alessandra che state dietro a mamma, così io e Santi possiamo cazzeggiare”.
Non sentiamo molto l’atmosfera del Natale, qui fa caldo e non è quello a cui siamo abituati.
Riusciamo a sentire tutti un po' dopo la loro mezzanotte. Qui da noi sono già le 11.
Comunque buon Natale a tutti voi ed un bacione da Alessandra, Santi e Gianni.

lunedì 24 dicembre 2007

Kuranda e Atherton Tableland

Ieri abbiamo passato la giornata a Kuranda, che la guida descrive come un villaggio tipico nella foresta pluviale. Siamo partiti alle 9 con Skyrail, una funivia le cui cabine (che qui chiamano: gondole) passano poco più in alto della cima degli alberi della foresta pluviale.

Santi ha scoperto a Green Island che nella macchina fotografica di Ale e Gianni, oltre al tempo di esposizione, si può regolare anche l’apertura del diaframma ed ora fa foto a raffica. E bisogna dire che gli vengono piuttosto bene.
Prima tappa: Red Peak. Siamo sulla cima della collina vicino Cairns. Scendiamo dalla cabina e ci incamminiamo su una passerella che ci porta dritti in mezzo alla foresta pluviale. Lo spettacolo è ancora più bello che a Green Island: qui la foresta è incredibilmente densa di vegetazione. Le chiome degli alberi formano un intrico che perfino la luce del sole fatica a penetrare.


I cartelli informativi spiegano che tra le piante del sottobosco vi è una continua lotta per catturare i pochi raggi di sole che arrivano e che solo alcune piante parassite, arrampicandosi sugli altri alberi, riescono a raggiungere questo tetto vegetale. Quando, di tanto in tanto, un albero cade, si forma un foro in questa volta verde e la luce penetra improvvisa. Allora semi che attendevano di germogliare anche da interi anni, esplodono e le piante fanno a gara per riempire quel foro e garantirsi la luce solare necessaria alla propria sopravvivenza.

Riprendiamo la funivia. Seconda tappa: Barron Falls. Questa cascata è completamente diversa da quella che abbiamo visto nel Victoria: il fiume precipita da una parete completamente rocciosa e non da una parete coperta di foresta. I soliti cartelli informativi narrano la leggenda aborigena di queste cascate: il serpente sacro dal colore dell’arcobaleno passava da queste terre per portare agli abitanti degli altopiani le conchiglie del mare ed esserne ripagato con opali splendenti. Gli uomini-uccello, per rubare le conchiglie, uccisero il serpente, ne divisero il corpo in 7 parti e le dispersero lungo il percorso dagli altopiani al mare. Ovunque le 7 parti si posarono nacque una cascata e l’arcobaleno che si forma su di essa, rende onore alla memoria del serpente.

Questa leggenda aborigena mi richiama alla mente alcune simbologie provenienti da altre religioni: il corpo di Osiride fu diviso in 7 parti dal fratello Set che lo aveva ucciso; il serpente color arcobaleno era sacro agli aztechi e credo se ne possano trovare altre. Tutte le leggende degli aborigeni provengono da quello che loro chiamano Il tempo dei sogni. Forse c’è stato un tempo nel quale i sogni di tutti gli uomini erano gli stessi? Allora forse tutti erano uguali e c’è speranza per il futuro? Se aprirò un forum di filosofia, ricordatemi di metterlo tra gli argomenti. Ora continuiamo.

Ultima tappa: Kuranda.

La guida aveva quasi ragione: è un tipico villaggio per turisti nella foresta pluviale. Kuranda è quasi deludente: i suoi mercatini tipici hanno oggetti aborigeni prodotti industrialmente e venduti da bianchi, si possono trovare incensi indiani e paccottiglia varia come in qualsiasi altro mercatino etnico del mondo. Non penso sia colpa della globalizzazione, ma solo del cattivo gusto degli acquirenti. Mi ci metto anche io, ovvio. In fondo sono un turista.

Torniamo ai motivi per cui è deludente Kuranda: la guida dice che si possono osservare i koala al centro che li ospita e persino farsi fare una foto con loro o con un canguro.

Tutto vero. Peccato che questi koala siano in 5 sopra un finto albero di eucalipto, un po’ spelacchiati, con la gente che gli rompe costantemente le scatole. Puoi pagare 15 AUD (dollari australiani) per una foto con il koala in braccio (e a forza di maneggiarli, sfido che sono spelacchiati) e portarti a casa il tuo ricordino. A Phillip Island i koala erano tenuti rigorosamente lontani dai turisti, erano liberi di scegliersi il proprio albero sul quale stare da soli.

Stesso vale per i canguri: è possibile dar da mangiare agli wallabi (parenti dei canguri) che sono nel centro. Però tutti gli danno da mangiare. Sono stesi, mezzi intontiti dal caldo e dal pasto continuo che, quando arriviamo noi, ormai snobbano.

Insomma, più uno zoo che un centro di protezione. Pare che i proventi vadano ad aiutare la protezione degli animali.

La camminata per la foresta pluviale (abbiamo cercato più di mezz’ora per trovarla) è bella, ma ormai siamo stanchi dal tanto girare e, soprattutto, erano così belle le passerelle dello Skyrail, che non siamo così entusiasti come forse avrebbe meritato il paesaggio.

Il ritorno, per cambiare, lo facciamo con il Kuranda Scenic Railway, un trenino stile ottocento che passa su una vera ferrovia del 1800, costruita in contemporanea al primo insediamento in queste zone ed alla diga sul fiume Barron che fornisce gran parte dell’energia elettrica di Cairns.

Il nome del treno è completamente meritato. E’ un po’ scomodo ma facciamo un viaggio quasi altrettanto avvincente di quello fatto in funivia.

A parte la ricostruzione perfetta del treno, si attraversano paesaggi incredibili, si vedono le cascate da un altro punto di vista, si scoprono alberi che prima non si erano visti ed una voce narrante racconta la storia di ogni singolo tratto di ferrovia.


Torniamo a casa piuttosto stanchi ed un po’ preoccupati: Smookie, il gatto che ci hanno lasciato i padroni di casa, non vuole saperne né di entrare in casa, né di mangiare il suo cibo.

Quando Alessandra accende il barbecue, comincia a fare le fusa e a strusciarsi. Gianni, dopo cena, tenta di imbonirlo con un po’ di pane inzuppato nel sughetto della carne ma senza successo alcuno.

Mentre Gianni e Alessandra frescheggiano nel patio, dopo cena, si iniziano a sentire rumori inquietanti. Con un frullo d’ali, un uccello dalle gambe secche e lunghe e dal collo da giraffa (una cinquantina di centimetri di altezza in tutto) atterra caracollando in mezzo al patio e corre verso l’ingresso della casa. Un po’ di panico che però si dissolve alla scoperta che le zanzariere erano chiuse e non sarebbe mai potuto entrare. In compenso ci siamo ciucciati i suoi canti d’amore per tutta la notte.

Altro panico quando si sente uno strano rumore di passi e nessuno risponde. Ale e Gianni si rifugiano in casa. Smookie, che ci è abituato, non gira nemmeno la testa.

Stamani, al risveglio, troviamo una gradita sorpresa: la nostra Cicciuzza (quella che non è venuta) è su Skype e ci possiamo parlare (per la prima volta da quando siamo qui). Vorremmo parlare anche con mamma, ma in Italia è sera e mamma dorme già.

Meta di oggi, l’Atherton Tableland. I famosi altopiani dove si recava il serpente di cui sopra e che si trovano nell’interno, verso l’Outback (l’hinterland australiano).

Ripassiamo nei dintorni di Kuranda e ci fermiamo in un parcheggio panoramico a fare foto di Cairns e dell’oceano.

Quando arriviamo vicino a Mareeba, a pochi chilometri da Kuranda, la foresta pluviale scompare di botto, come se qualcuno avesse chiuso il rubinetto dell’acqua in quel punto esatto. Ci sono alberi, ma pochi. Per terra grosse rocce che sembrano fatte di fango e che hanno una forma strana.

Non so se avete visto quelle statue di legno di uomini nodosi tutti arrotolati su se stessi che si vedono ogni tanto nei mercatini etnici. Ecco, immaginatevele fatte di fango e che rappresentino un koala invece che un uomo. Comunque queste rocce non sono state giudicate meritevoli di foto e quindi limitatevi ad immaginarle.

All’ingresso di Mareeba un cartello inquietante: “Mareeba, 300 giorni di sole in un anno”. Oh, ma non si era al tropico? E la stagione delle piogge? Qui qualcosa non torna.

Comunque siamo qui per il Coffee Works, prima tappa del nostro viaggio. Si tratta di un negozio-torrefazione-fabbrica. Chiediamo al punto informazioni e veniamo omaggiati di uno sconto del 10%.

Un inciso: ogni volta che andiamo ad un punto informazioni, ci chiedono da dove veniamo e se lo segnano. Visto che finora ci siamo fermati praticamente in ogni punto informazioni che abbiamo visto, quest’anno le statistiche registreranno oltre un milione di presenze di turisti italiani in Australia, ma un buon 40% sarà rappresentato da noi 3.

Al Coffe Works ci fanno pagare 25 AUD di ingresso (meno il 10% di sconto) e ci assegnano un bicchiere ciascuno per poter fare i nostri assaggi mentre aspettiamo l’inizio della visita guidata. Ci sono 20 thermos di caffè e 4 di tè. Miscele australiane e caffè provenienti dai vari paesi del mondo. Scopriamo così che i chicchi arrivano qui, loro tostano, macinano e miscelano.

Il caffè del Nicaragua è una rivelazione. Quello australiano forte non è male (ma non è forte, ma qui in genere fanno sbobba lunga, non caffè).

Comunque, per quanto leggeri, dopo 20 caffè in mezz’ora (anche se si trattava solo di assaggi) Santi e Gianni accusano un po’ di tachicardia. Alessandra ha assaggiato solo quelli fortemente raccomandati dagli altri due.

La visita guidata è interessantissima: ci spiegano prima di tutto che le condizioni atmosferiche di Mareeba sono uniche e particolari. Questa zona è una specie di “tasca” tra la foresta pluviale e l’Outback. Di fatto, qui piove due mesi l’anno. Questo favorisce la coltivazione del caffè. Di qui il negozio.

Poi ci fanno vedere tutte le fasi della lavorazione e ci servono un assaggio di cioccolatini prodotti in loco. La cosa più fantastica è un cioccolatino aromatizzato con una pianta che sa di limone e che cresce solo in Australia.

Infine facciamo una visita libera al loro museo di arnesi correlati al caffè: tostatrici, macinini e caffettiere. Ce ne sono una quantità incredibile. Sembra che sia la più grossa collezione del genere nel mondo. Notiamo con orgoglio che quasi tutte le caffettiere sono di origine italiana.

Questa visita ci ha preso così tanto che abbiamo passato qui tutta la mattina.

Ci rimettiamo in macchina ed in pochi minuti siamo sulle Tablelands. Il nome è incredibilmente appropriato: in alcuni punti queste terre sono una tavola senza fine. Il cielo azzurro è macchiato da nuvole bianche ed è ovunque. E’ tutto il cielo dell’oceano che è stato portato sulla terraferma.

Credo che sia quanto di più vicino alla definizione di immensità che io abbia mai visto. Qualche amico mi ha parlato di quanto sia particolare il cielo dell’Irlanda e forse è questo quello che intendeva.

Vorremmo immortalare in una foto tutto quello che vediamo ma non sappiamo da dove cominciare. Come più di una volta da quando siamo arrivati quaggiù ci guardiamo e ci diciamo: “Avrebbe dovuto esserci Maddalena”.

Stiamo ancora trattenendo il fiato per l’emozione quando arriviamo al Curtain Fig Tree. I Fig, o fichi strangolatori, sono piante parassite il cui seme si deposita su un albero e comincia a crescere nutrendosene. Come prima cosa fa crescere fino a terra le radici e, quando riceve anche il nutrimento dalla terra, cresce verso l’alto ed attorno all’albero ospite, strangolandolo con i suoi rami. In tal modo il Fig non deve più dividere il nutrimento della terra con l’altro albero che, prima o poi, crollerà. Se nel crollare entrambi si appoggiano ad un altro albero nasce questa particolare configurazione, detta Curtain Fig.

In particolare questo è vecchio di 500 anni. Attorno ai due tronchi principali vi è una vera e propria cortina, un tendaggio di liane spesse e legnose (le radici del Fig parassita) che lasciano penetrare un po’ di luce e forse qualche insetto all’interno, ma poco altro.

Sembra di guardare un enorme vecchio seduto e pensoso, vestito solamente della sua barba lunghissima. A me ricorda la statua L’Appennino del Gianbologna. E’ come se quest’albero si dovesse svegliare da un momento all’altro ed ergersi su radici colossali, come il Barbalbero di Tolkien.

Di nuovo sulla strada. Un pranzo veloce e via al Milla Milla Circuit. Niente di automobilistico questa volta. Si tratta di un percorso circolare che porta a 3 cascate.

Le prime, quelle di Milla Milla, sono belle ma la gente ci viene a fare il bagno e quindi perdono un po’ la poesia della cascata nel luogo isolato.

Le Zillie Falls hanno un fascino più selvaggio, però le vediamo solo dall’alto. L’acqua, infrangendosi sulle rocce, vaporizza e forma uno strepitoso arcobaleno. Forse anche qui è stato lasciato un pezzo del serpente di Kuranda.

Infine le Ellinjaa Falls. Ecco qui siamo di nuovo nelle cascate della foresta pluviale. Meravigliose. Tutto intorno foresta e solo il rumore del fiume che scorre. Dei ragazzi che sono lì con noi si fanno anche il bagno ma noi passiamo.

Gianni e Ale si fanno il bagno però a Lake Eacham, un lago di origine vulcanica. L’acqua è fresca e ristoratrice.


Passiamo poi dai laghi Barrine e Tinaroo. Ormai siamo stanchi e le visite si abbreviano ogni volta.


Ma ogni volta troviamo qualcosa di veramente strano da fotografare.


Tornando verso casa ci fermiamo ad Atherton a fare la spesa. Arrivati nuovamente sulla strada vicino a Kuranda, ci imbattiamo in uno scenario da sogno: la luna piena, subito sopra gli alberi, appare gigantesca. Arrivando al belvedere in cui ci siamo fermati la mattina troviamo la luna sopra Cairns e sopra l’oceano. Ci fermiamo a fare foto ma ci vorrebbe un cavalletto. Santi riesce comunque a fare alcune foto sbreghis (come dice lui).


Nonostante il cielo un po’ nuvoloso, si vedono le stelle (e si vedono nonostante la luna piena e le luci di Cairns, segno che non vi è traccia di smog o foschia). Orione è strano ma me lo aspettavo: come tutti quelli che ascoltano Guccini, ero stato avvertito della capovolta ambiguità di Orione. In effetti Orione, essendo bassa sull’orizzonte in Italia, si vede anche da questo emisfero. E’ l’unica costellazione che riesco ad avvistare. Il pugnale, naturalmente, è rivolto verso l’alto perché lo sto guardando da sotto.

La Croce del Sud mi sfugge totalmente, forse perché mi ostino a guardare solo le stelle più luminose. Spero in Peter e Julie che mi illuminino sulla posizione della costellazione più famosa di questo emisfero.

sabato 22 dicembre 2007

Cairns e Green Island

Ok, ci siamo installati in casa. Più o meno tutto a posto, però sono indietro da matti con il blog, quindi riprendiamo dall’inizio.


Ieri mattina ci siamo alzati alle 3, per andare a Melbourne a prendere l’aereo che partiva alle 7. Lo so, è presto. Però c’erano varie cosa da tenere in considerazione.


1) Il fatto che da Barwon Heads a Melbourne ci sono oltre 100 km e qui nelle strade più grandi il limite è 100 km/h (e quindi in quelle più piccole, il limite è più basso). Questo vuol dire che ci vuole almeno 1 ora è mezzo per arrivare all’aeroporto.


2) Il fatto che non sapevamo con precisione come arrivare.


3) Il fatto che la sera che siamo tornati da Phillip Island siamo passati dal CityLink. Il CityLink è un pezzo di autostrada che circonda Melbourne ed l’unico pezzo di autostrada a pagamento che io abbia visto fino ad ora in Australia. Naturalmente non ci sono i caselli per pagare (rallenterebbero il traffico) ed hai parecchie soluzioni: aver comprato una carta prepagata (ma non sapevo che ci sarei passato), avere il telepass (non ce l’avevo), o telefonare al numero verde (ma dal mio cellulare italiano non si può).


4) Il fatto che dovevamo restituire la macchina alla Hertz.


Alla fine ce l’abbiamo fatta a fare tutto e c’è entrato anche la colazione ed il cambio Euro-Dollari allo sportello Cambi dell’aeroporto.


Partiti puntuali. Arrivati puntuali alle 9.20. Sarebbero le 10.20 rispetto a quando siamo partiti, però nel Victoria hanno l’ora legale, nel Queensland no (sono a cavallo del tropico ed il numero di ore di luce e buio non varia così tanto da rendere conveniente il cambio di ora).


A Cairns l’organizzazione di tutto è un po’ meno svizzera (si vede che siamo in un posto dove puoi andare a farti il bagno tutto l’anno): in aereo ci hanno fatto nuovamente la paternale, dicendo che nel Queensland è proibitissimo far entrare cibarie o animali (a parte Gianni, che è consentito) o vegetali e che ci perquisiranno anche il… Arriviamo e, non solo nessuno ci perquisisce, ma non vediamo un doganiere nemmeno da lontano.


Andiamo a prenotare il solito shuttle che ci porterà sulla porta di casa (o albergo o cosa sia): prima aspettiamo più di mezz’ora dopo aver pagato poi, quando saliamo, l’autista si accorge che una persona deve andare in un posto che non è di sua competenza ed aspettiamo che un altro autobus lo venga a prelevare. Insomma, un gran pasticcio!!!


Arriviamo infine al Gilligan (che si pronuncia Ghilligan, mi raccomando), l’ostello più mega-figo di tutta Cains. La Lonely Planet lo definisce “Il Ritz di tutti gli ostelli”.


In effetti il Gilligan merita un giro: tutta Cairns, per un motivo o per l’altro, passerà di lì. Hai la scelta tra camere da 4-6-8 posti o una sistemazione alberghiera (che costa 4-5 volte di più), all’interno ci sono: spazi comuni per cucinare, piscina, internet café, casinò, sala giochi, piscina, il night club più “in” della città (DJ di moda tutte le sere, festa con la schiuma il venerdì, gara di maglietta bagnata tutte le domeniche, ecc.).


Dobbiamo aspettare fino alle 14 per fare il check-in, quindi prendiamo le chiavi (dopo le 22, tutti quelli che entrano devono avere la chiave: una chiave = un ingresso), molliamo i bagagli (con tanto di ricevuta) e ci facciamo un giro per la città.


Immaginate una normale città di mare, infilateci dentro tutti i film sulla California che avete visto, aggiungeteci gli australiani con surf e cappelloni di pelle, gli aborigeni con i didjeridoo (strumenti a fiato tipici), negozi pieni di peluche di koala e boomerang, ed avrete una vaga idea di come è fatta Cains.


Compenetrato nel Gilligan c’è il mercato della frutta più popoloso e caratteristico che abbia mai visto. Vendono di tutto: dal cocco fresco (ci infilano una cannuccia e te lo vendono come bibita), al “Red Dragon” (che dicono abbia un sapore a metà tra fragola e cocomero, ma vi farò sapere dopo averlo assaggiato), a 20 varietà di papaya, di mango e passion fruit (20 per tipo, ovvio).

Nella piazza principale della città campeggiano un albero di natale ed un fico strangolatore di proporzioni gigantesche.


La cosa più bella però è “The Lagoon”. Sulla “Esplanade” un parco antistante all’oceano, vi è una piscina enorme, dall’acqua incredibilmente pulita con profondità digradante da 10 cm a 1,5 metri. Il parco ha panchine, tavoli, alberi per l’ombra, barbeque pubblici per cucinare quello che volete.



Ed anche da qui, prima o poi passano tutti.


E qui mi chiederete (perché io me lo sono chiesto, sia ben chiaro): che senso ha fare una piscina di fronte all’oceano?


Mi sono dimenticato di un piccolo particolare: qui, soprattutto in estate, non è troppo salutare fare il bagno nell’oceano. Niente di grave, eh! Solo che agli squali che normalmente girano, in questo periodo si aggiungono delle meduse dal veleno mortale. Le più pericolose sono grandi come l’unghia di un mignolo.


Arrivate le 14, ci fiondiamo a lasciare la nostra roba in camera e “Aaahhh….” esclama Alessandra entrando “Ci hanno dato una stanza non rifatta”.


In effetti la stanza è un casino. Però siamo in un ostello ed abbiamo preso una stanza a quattro letti. Tre sono i nostri, il quarto è di Saeke, la giapponese più disordinata sulla faccia del pianeta. Sembra che abbia vuotato la valigia a caso sul suo letto e sul suo armadietto e che quello che non ci stava lo abbia messo in bagno.


Ok, tanto ci stiamo solo una notte. Telefoniamo subito a Debi, la padrona della casa che ci ospiterà per questa settimana a Cairns, per metterci d’accordo. Ci troviamo da loro alle 18. Ok, che autobus ci porta? No, niente autobus. Ok, prendo un taxi. No, niente taxi. Ci risentiamo alle 17.



Nel frattempo facciamo un tuffo nella laguna e ci informiamo su come andare a Green Island il giorno dopo.




Alle 17 chiamiamo di nuovo: passerà a prenderci Ken, il marito, alle 18.30 davanti al Gilligan.


Mentre lo attendiamo, prenotiamo la gita a Green Island. Già, non ve lo avevo detto? Al Gilligan c’è anche un’agenzia di viaggi.


Ken e Debi sono simpaticissimi ed hanno due meravigliosi bambini (di 9 e 12 anni). La casa è un po’ alla fine del mondo, ma è un sogno. La cucina-soggiorno è grande quanto la mia cucina ed il mio soggiorno. La dispensa (una stanza, attenzione) è grande quanto l’ingresso di casa mia. Il frigo (un’altra stanza) è grande quanto il mio sgabuzzino per le scope. Poi ci sono 4 stanze da letto (due per i ragazzi, una per i genitori ed una per gli ospiti). Nel mezzo corridoi e bagni (4 di cui 3 con vasca da bagno e/o doccia ed uno solo con la toilette e un lavandino).


E questo è solo il dentro. Perché fuori hanno il patio con tavolo, sedie, barbeque, sofà, piscina, sterminato giardino con casa sull’albero per i ragazzi, pollaio, garage, alberi di mango e papaya e foresta tropicale subito oltre un cancellino.


Ci invitano ad una cena a base di pizza e stuzzichini. Il piccolo dice alla mamma: “Mamma, non puoi servire pizza a degli italiani”. E’ un genio!!! Però la pizza è buona, anche se a me (Gianni) lascia un po’ perplesso quella “al barbeque” (non sto scherzando, è pizza con sopra pezzi di carne ed una strana salsina).


Davanti alla zanzariera della camera da letto di Ken e Debi, che dal giorno dopo diventerà mia e di Ale, c’è una super ragnatela, con un ragno di circa 7 cm. Ken, vista la mia faccia, commenta: “Tranquillo, mangia solo insetti”.


Va beh, meglio la bestia fuori che le zanzare dentro.


Ah, a casa c’è anche Smookie, un gatto grigio fumo molto socievole.


Torniamo al Gilligan e ce ne andiamo a dormire. Questa mattina lasciamo di nuovo in custodia le valige, troviamo una macchina a noleggio per poter andare a casa la sera e ci imbarchiamo per Green Island.


L’isola è detta così perché è, in effetti, verde. Si tratta di un isolotto di sabbia e roccia emerso dalla barriera corallina, su cui la foresta pluviale ha attecchito con parecchio successo. Abbiamo preso il pacchetto completo: snorkelling e gita sul sottomarino vetrato.





Arrivati all’isola ci danno maschera, boccaglio e tutina di lycra (la foto sul blog ve la risparmio, poi la farò vedere solo agli amici più fidati) perché qui le meduse non ci sono, però non si sa mai. In realtà a questa cosa abbiamo aderito solo io e Santi perché Ale non vuol saperne di stare con la testa sott’acqua.


Non sono tagliato per lo snorkelling. Vedo un monte di pesci, ma bevo come una spugna. Al secondo giro via pinne e tutina di lycra e torno in acqua senza usare il boccaglio. Meglio, ma i pesci li avevo visti anche prima.


Un giro veloce per l’isola su passerelle di legno (così non si sciupa il sottobosco). Tanto per intenderci, nella foresta tropicale il sottobosco è fatto da felci che stanno su tronchi simili a quelli delle palme e sono alti quasi come una persona. Ci sono uccelli buffissimi ed un continuo frinire di cicale.


Fa caldo ed è umido, in effetti, ma pensavo peggio.


Dopo pranzo, giro nel sommergibile a vetri (che è in pratica il sotto di una barca). Nella barriera corallina ci sono pesci di tutte le dimensioni e di tutti i colori che vi possiate immaginare. Siamo dentro un acquario al contrario (perché stavolta sottovetro ci siamo noi) ed è uno spettacolo mozzafiato.


Al ritorno trasferimento a casa nuova. Le rane (non ve lo avevo detto? Ci sono rane piccolissime e gechi di media grandezza che si aggirano per il patio) fanno quasi più confusione delle cicale. Pare che sia la stagione degli amori.


Il ragno è al suo posto.


Smookie è un po’ seccato per il fatto che ci sono degli estranei, ma speriamo che si abitui.


E ora a letto. Domani ci aspetta Kuranda.



giovedì 20 dicembre 2007

Ocean Grove

Oggi siamo stati ad Ocean Grove (ridente cittadina vicina a Barwon Heads), abbiamo inserito un po’ di post sul blog da un internet point (scusate, mi sono distratto, sto scrivendo sul blog italiano o su quello inglese???)

Comunque, abbiamo mangiato in un magnifico pub: The 7th wave (la settima onda). Ottimo il pasto molto carino il posto.

Prima di uscire avevamo steso la seconda lavatrice. Mentre eravamo al pub il tempo si è rannuvolato ed è venuto giù, come suol dirsi, questo e quell’altro mondo.

Vento, pioggia, fulmini. Hanno iniziato a passare pompieri e polizia per i vari allagamenti, l’ombrellone di un bar di fronte al pub è volato su un paio di macchine parcheggiate. Ovviamente, appena a casa, abbiamo rimesso il bucato in lavatrice per una centrifuga perché era più bagnato di quando l’avevamo steso.

A sera ci siamo visti Legend, rigorosamente in inglese (ma coi sottotitoli perché non ci si capiva nulla), comodamente spaparanzati sul divano. Mi sono stupito perché Alessandra e Santi non lo avevano mai visto. Poi ho guardato la data sul DVD. E’ un film del 1985. Ha la stessa età di Santi. Urka quanto sono vecchio.

Phillip Island



Ieri ci siamo svegliati più tardi (il fuso è stato vinto dalla stanchezza).
Ce ne andiamo a Queenscliff a prendere il traghetto verso, indovinate un po’, Sorrento.
Beh, in effetti c’è una penisola, ed anche qualche casa arroccata sulla spiaggia, ma non può competere con la Sorrento italiana.
Mangiamo Fish and chips. Il pesce è buono e le patatine sono in quantità più che industriale, ma le mosche sono così tante ed insistenti che dobbiamo rifugiarci in macchina per poter mangiare in pace.
Poi via di nuovo alla volta di San Remo. Ebbene sì, è così che si chiama il posto da cui inizia il ponte per Phillip Island.
Appena arrivati sull’isola ci fermiamo al Punto Informazioni (saggiamente posizionato all’interno di una fabbrica di cioccolato) ed acquistiamo i biglietti per il Koala Conservation Centre e per la Penguine Parade.
Ci fermiamo prima a vedere i koala che, in effetti, vengono conservati molto bene. Da un percorso sopraelevato possiamo vederli sonnecchiare tra gli alberi e mangiare le foglie di eucalipto. In effetti, le foglie di eucalipto non sono molto nutrienti, per cui il ciclo dei koala comprende venti ore di sonno e quattro di attività in un giorno. Ecco perché Ale è stata chiamata koalasognatore agli scout.
Facendo un giro tra i percorsi non sopraelevati vediamo un solo koala ma in compenso avvistiamo un piccolo canguro in lontananza e decine di pappagalli colorati.
Ci rimettiamo in marcia e ci fermiamo in un posto imprevisto: il circuito di Phillip Island. E facciamo anche un incontro imprevisto: una ventina di canguri (adulti e cuccioli) in un recinto sotto un albero. Probabilmente vengono chiusi qui quando i visitatori sono ammessi a girare con le auto sul circuito.
Poi è il turno dei Nobbies, rocce (sempre uso faraglioni) in mezzo al mare, sulla punta occidentale dell’isola. In lontananza si vede Seal Rock, zona di rifugio delle foche. E’ troppo tardi per farci un giro in traghetto per andarle a vedere. Pazienza.
In compenso qui ci sono quasi più gabbiani che mosche. Riusciamo ad avvistare anche i nidi con le uova. E ci chiediamo: ma perché i gabbiani non si mangiano le mosche? Mistero.
Andiamo a Cowes a cena. Entriamo in un posto che sembra un pub e ci troviamo in un locale che vuol sembrare fighetto ma ha le tovaglie di plastica ed il personale non troppo cortese. Comunque mangiamo bene e ci fiondiamo via di corsa per non far tardi all’appuntamento con i pinguini.
Mentre ci avviciniamo al punto di osservazione, vediamo un pinguino minuscolo (sicuramente un cucciolo, pensiamo noi) che si aggira per i cespugli.
Il punto di osservazione è una scalinata prospicente la spiaggia. La ranger ci da alcune indicazioni sul comportamento dei pinguini: arriveranno a gruppi all’imbrunire, si avventureranno sulla spiaggia in avanscoperta e poi si getteranno in acqua nuovamente. La spiegazione ufficiale è che fanno così per confondere i predatori, ma la ranger è convinta che si divertano un monte.
Arriva il primo gruppo di pinguini: quello che avevamo visto non era un cucciolo. Sono tutti alti poco più di un gabbiano!!!
Sono fantastici e fanno esattamente quello che ha detto la ranger: planano sulla spiaggia portati dalle onde, si avventurano incerti sulla battigia e poi corrono di nuovo tutti in gruppi in acqua.
Dopo aver fatto questa pantomima per un paio di volte, si avventurano fino al primo gruppo di alghe, restano un po’ in osservazione e poi iniziano a correre (buffissimi) verso la collina cesupugliosa.
Abbiamo visto l’arrivo di diversi gruppi di pinguini e poi siamo tornati verso il parcheggio. Dalle passerelle si potevano ancora vedere i pinguini passare ed andare verso le tane. Ogni tanto qualcuno si fermava incuriosito a guardare la gente (scommetto che tra se diranno: è divertentissimo guardare ogni sera quegli esseri buffi che passeggiano).
Improvvisamente, tra i pinguini, è saltato fuori un canguro. Sembrava un po’ spaventato dalla gente e si è messo a quattro zampe, ci ha guardato per un po’ con diffidenza e poi, con due salti, è scomparso dalla vista.
Purtroppo in quest’area le foto sono proibite: i flash infastidiscono i pinguini e la vendita delle foto da parte del Centro contribuisce al mantenimento dell’area.
Ci siamo rimessi in strada alle 22.00 e siamo arrivati a casa alle 01.00 di notte: abbiamo dovuto fare il giro da Melbourne poiché, a quell’ora di notte, non ci sono più traghetti da Sorrento a Queenscliff.
Oggi sarà dedicato al riposo ed ai blog.
Ale ha fatto due lavatrici ed ora usciamo per fare un bagno e cercare un internet point.