lunedì 24 dicembre 2007

Kuranda e Atherton Tableland

Ieri abbiamo passato la giornata a Kuranda, che la guida descrive come un villaggio tipico nella foresta pluviale. Siamo partiti alle 9 con Skyrail, una funivia le cui cabine (che qui chiamano: gondole) passano poco più in alto della cima degli alberi della foresta pluviale.

Santi ha scoperto a Green Island che nella macchina fotografica di Ale e Gianni, oltre al tempo di esposizione, si può regolare anche l’apertura del diaframma ed ora fa foto a raffica. E bisogna dire che gli vengono piuttosto bene.
Prima tappa: Red Peak. Siamo sulla cima della collina vicino Cairns. Scendiamo dalla cabina e ci incamminiamo su una passerella che ci porta dritti in mezzo alla foresta pluviale. Lo spettacolo è ancora più bello che a Green Island: qui la foresta è incredibilmente densa di vegetazione. Le chiome degli alberi formano un intrico che perfino la luce del sole fatica a penetrare.


I cartelli informativi spiegano che tra le piante del sottobosco vi è una continua lotta per catturare i pochi raggi di sole che arrivano e che solo alcune piante parassite, arrampicandosi sugli altri alberi, riescono a raggiungere questo tetto vegetale. Quando, di tanto in tanto, un albero cade, si forma un foro in questa volta verde e la luce penetra improvvisa. Allora semi che attendevano di germogliare anche da interi anni, esplodono e le piante fanno a gara per riempire quel foro e garantirsi la luce solare necessaria alla propria sopravvivenza.

Riprendiamo la funivia. Seconda tappa: Barron Falls. Questa cascata è completamente diversa da quella che abbiamo visto nel Victoria: il fiume precipita da una parete completamente rocciosa e non da una parete coperta di foresta. I soliti cartelli informativi narrano la leggenda aborigena di queste cascate: il serpente sacro dal colore dell’arcobaleno passava da queste terre per portare agli abitanti degli altopiani le conchiglie del mare ed esserne ripagato con opali splendenti. Gli uomini-uccello, per rubare le conchiglie, uccisero il serpente, ne divisero il corpo in 7 parti e le dispersero lungo il percorso dagli altopiani al mare. Ovunque le 7 parti si posarono nacque una cascata e l’arcobaleno che si forma su di essa, rende onore alla memoria del serpente.

Questa leggenda aborigena mi richiama alla mente alcune simbologie provenienti da altre religioni: il corpo di Osiride fu diviso in 7 parti dal fratello Set che lo aveva ucciso; il serpente color arcobaleno era sacro agli aztechi e credo se ne possano trovare altre. Tutte le leggende degli aborigeni provengono da quello che loro chiamano Il tempo dei sogni. Forse c’è stato un tempo nel quale i sogni di tutti gli uomini erano gli stessi? Allora forse tutti erano uguali e c’è speranza per il futuro? Se aprirò un forum di filosofia, ricordatemi di metterlo tra gli argomenti. Ora continuiamo.

Ultima tappa: Kuranda.

La guida aveva quasi ragione: è un tipico villaggio per turisti nella foresta pluviale. Kuranda è quasi deludente: i suoi mercatini tipici hanno oggetti aborigeni prodotti industrialmente e venduti da bianchi, si possono trovare incensi indiani e paccottiglia varia come in qualsiasi altro mercatino etnico del mondo. Non penso sia colpa della globalizzazione, ma solo del cattivo gusto degli acquirenti. Mi ci metto anche io, ovvio. In fondo sono un turista.

Torniamo ai motivi per cui è deludente Kuranda: la guida dice che si possono osservare i koala al centro che li ospita e persino farsi fare una foto con loro o con un canguro.

Tutto vero. Peccato che questi koala siano in 5 sopra un finto albero di eucalipto, un po’ spelacchiati, con la gente che gli rompe costantemente le scatole. Puoi pagare 15 AUD (dollari australiani) per una foto con il koala in braccio (e a forza di maneggiarli, sfido che sono spelacchiati) e portarti a casa il tuo ricordino. A Phillip Island i koala erano tenuti rigorosamente lontani dai turisti, erano liberi di scegliersi il proprio albero sul quale stare da soli.

Stesso vale per i canguri: è possibile dar da mangiare agli wallabi (parenti dei canguri) che sono nel centro. Però tutti gli danno da mangiare. Sono stesi, mezzi intontiti dal caldo e dal pasto continuo che, quando arriviamo noi, ormai snobbano.

Insomma, più uno zoo che un centro di protezione. Pare che i proventi vadano ad aiutare la protezione degli animali.

La camminata per la foresta pluviale (abbiamo cercato più di mezz’ora per trovarla) è bella, ma ormai siamo stanchi dal tanto girare e, soprattutto, erano così belle le passerelle dello Skyrail, che non siamo così entusiasti come forse avrebbe meritato il paesaggio.

Il ritorno, per cambiare, lo facciamo con il Kuranda Scenic Railway, un trenino stile ottocento che passa su una vera ferrovia del 1800, costruita in contemporanea al primo insediamento in queste zone ed alla diga sul fiume Barron che fornisce gran parte dell’energia elettrica di Cairns.

Il nome del treno è completamente meritato. E’ un po’ scomodo ma facciamo un viaggio quasi altrettanto avvincente di quello fatto in funivia.

A parte la ricostruzione perfetta del treno, si attraversano paesaggi incredibili, si vedono le cascate da un altro punto di vista, si scoprono alberi che prima non si erano visti ed una voce narrante racconta la storia di ogni singolo tratto di ferrovia.


Torniamo a casa piuttosto stanchi ed un po’ preoccupati: Smookie, il gatto che ci hanno lasciato i padroni di casa, non vuole saperne né di entrare in casa, né di mangiare il suo cibo.

Quando Alessandra accende il barbecue, comincia a fare le fusa e a strusciarsi. Gianni, dopo cena, tenta di imbonirlo con un po’ di pane inzuppato nel sughetto della carne ma senza successo alcuno.

Mentre Gianni e Alessandra frescheggiano nel patio, dopo cena, si iniziano a sentire rumori inquietanti. Con un frullo d’ali, un uccello dalle gambe secche e lunghe e dal collo da giraffa (una cinquantina di centimetri di altezza in tutto) atterra caracollando in mezzo al patio e corre verso l’ingresso della casa. Un po’ di panico che però si dissolve alla scoperta che le zanzariere erano chiuse e non sarebbe mai potuto entrare. In compenso ci siamo ciucciati i suoi canti d’amore per tutta la notte.

Altro panico quando si sente uno strano rumore di passi e nessuno risponde. Ale e Gianni si rifugiano in casa. Smookie, che ci è abituato, non gira nemmeno la testa.

Stamani, al risveglio, troviamo una gradita sorpresa: la nostra Cicciuzza (quella che non è venuta) è su Skype e ci possiamo parlare (per la prima volta da quando siamo qui). Vorremmo parlare anche con mamma, ma in Italia è sera e mamma dorme già.

Meta di oggi, l’Atherton Tableland. I famosi altopiani dove si recava il serpente di cui sopra e che si trovano nell’interno, verso l’Outback (l’hinterland australiano).

Ripassiamo nei dintorni di Kuranda e ci fermiamo in un parcheggio panoramico a fare foto di Cairns e dell’oceano.

Quando arriviamo vicino a Mareeba, a pochi chilometri da Kuranda, la foresta pluviale scompare di botto, come se qualcuno avesse chiuso il rubinetto dell’acqua in quel punto esatto. Ci sono alberi, ma pochi. Per terra grosse rocce che sembrano fatte di fango e che hanno una forma strana.

Non so se avete visto quelle statue di legno di uomini nodosi tutti arrotolati su se stessi che si vedono ogni tanto nei mercatini etnici. Ecco, immaginatevele fatte di fango e che rappresentino un koala invece che un uomo. Comunque queste rocce non sono state giudicate meritevoli di foto e quindi limitatevi ad immaginarle.

All’ingresso di Mareeba un cartello inquietante: “Mareeba, 300 giorni di sole in un anno”. Oh, ma non si era al tropico? E la stagione delle piogge? Qui qualcosa non torna.

Comunque siamo qui per il Coffee Works, prima tappa del nostro viaggio. Si tratta di un negozio-torrefazione-fabbrica. Chiediamo al punto informazioni e veniamo omaggiati di uno sconto del 10%.

Un inciso: ogni volta che andiamo ad un punto informazioni, ci chiedono da dove veniamo e se lo segnano. Visto che finora ci siamo fermati praticamente in ogni punto informazioni che abbiamo visto, quest’anno le statistiche registreranno oltre un milione di presenze di turisti italiani in Australia, ma un buon 40% sarà rappresentato da noi 3.

Al Coffe Works ci fanno pagare 25 AUD di ingresso (meno il 10% di sconto) e ci assegnano un bicchiere ciascuno per poter fare i nostri assaggi mentre aspettiamo l’inizio della visita guidata. Ci sono 20 thermos di caffè e 4 di tè. Miscele australiane e caffè provenienti dai vari paesi del mondo. Scopriamo così che i chicchi arrivano qui, loro tostano, macinano e miscelano.

Il caffè del Nicaragua è una rivelazione. Quello australiano forte non è male (ma non è forte, ma qui in genere fanno sbobba lunga, non caffè).

Comunque, per quanto leggeri, dopo 20 caffè in mezz’ora (anche se si trattava solo di assaggi) Santi e Gianni accusano un po’ di tachicardia. Alessandra ha assaggiato solo quelli fortemente raccomandati dagli altri due.

La visita guidata è interessantissima: ci spiegano prima di tutto che le condizioni atmosferiche di Mareeba sono uniche e particolari. Questa zona è una specie di “tasca” tra la foresta pluviale e l’Outback. Di fatto, qui piove due mesi l’anno. Questo favorisce la coltivazione del caffè. Di qui il negozio.

Poi ci fanno vedere tutte le fasi della lavorazione e ci servono un assaggio di cioccolatini prodotti in loco. La cosa più fantastica è un cioccolatino aromatizzato con una pianta che sa di limone e che cresce solo in Australia.

Infine facciamo una visita libera al loro museo di arnesi correlati al caffè: tostatrici, macinini e caffettiere. Ce ne sono una quantità incredibile. Sembra che sia la più grossa collezione del genere nel mondo. Notiamo con orgoglio che quasi tutte le caffettiere sono di origine italiana.

Questa visita ci ha preso così tanto che abbiamo passato qui tutta la mattina.

Ci rimettiamo in macchina ed in pochi minuti siamo sulle Tablelands. Il nome è incredibilmente appropriato: in alcuni punti queste terre sono una tavola senza fine. Il cielo azzurro è macchiato da nuvole bianche ed è ovunque. E’ tutto il cielo dell’oceano che è stato portato sulla terraferma.

Credo che sia quanto di più vicino alla definizione di immensità che io abbia mai visto. Qualche amico mi ha parlato di quanto sia particolare il cielo dell’Irlanda e forse è questo quello che intendeva.

Vorremmo immortalare in una foto tutto quello che vediamo ma non sappiamo da dove cominciare. Come più di una volta da quando siamo arrivati quaggiù ci guardiamo e ci diciamo: “Avrebbe dovuto esserci Maddalena”.

Stiamo ancora trattenendo il fiato per l’emozione quando arriviamo al Curtain Fig Tree. I Fig, o fichi strangolatori, sono piante parassite il cui seme si deposita su un albero e comincia a crescere nutrendosene. Come prima cosa fa crescere fino a terra le radici e, quando riceve anche il nutrimento dalla terra, cresce verso l’alto ed attorno all’albero ospite, strangolandolo con i suoi rami. In tal modo il Fig non deve più dividere il nutrimento della terra con l’altro albero che, prima o poi, crollerà. Se nel crollare entrambi si appoggiano ad un altro albero nasce questa particolare configurazione, detta Curtain Fig.

In particolare questo è vecchio di 500 anni. Attorno ai due tronchi principali vi è una vera e propria cortina, un tendaggio di liane spesse e legnose (le radici del Fig parassita) che lasciano penetrare un po’ di luce e forse qualche insetto all’interno, ma poco altro.

Sembra di guardare un enorme vecchio seduto e pensoso, vestito solamente della sua barba lunghissima. A me ricorda la statua L’Appennino del Gianbologna. E’ come se quest’albero si dovesse svegliare da un momento all’altro ed ergersi su radici colossali, come il Barbalbero di Tolkien.

Di nuovo sulla strada. Un pranzo veloce e via al Milla Milla Circuit. Niente di automobilistico questa volta. Si tratta di un percorso circolare che porta a 3 cascate.

Le prime, quelle di Milla Milla, sono belle ma la gente ci viene a fare il bagno e quindi perdono un po’ la poesia della cascata nel luogo isolato.

Le Zillie Falls hanno un fascino più selvaggio, però le vediamo solo dall’alto. L’acqua, infrangendosi sulle rocce, vaporizza e forma uno strepitoso arcobaleno. Forse anche qui è stato lasciato un pezzo del serpente di Kuranda.

Infine le Ellinjaa Falls. Ecco qui siamo di nuovo nelle cascate della foresta pluviale. Meravigliose. Tutto intorno foresta e solo il rumore del fiume che scorre. Dei ragazzi che sono lì con noi si fanno anche il bagno ma noi passiamo.

Gianni e Ale si fanno il bagno però a Lake Eacham, un lago di origine vulcanica. L’acqua è fresca e ristoratrice.


Passiamo poi dai laghi Barrine e Tinaroo. Ormai siamo stanchi e le visite si abbreviano ogni volta.


Ma ogni volta troviamo qualcosa di veramente strano da fotografare.


Tornando verso casa ci fermiamo ad Atherton a fare la spesa. Arrivati nuovamente sulla strada vicino a Kuranda, ci imbattiamo in uno scenario da sogno: la luna piena, subito sopra gli alberi, appare gigantesca. Arrivando al belvedere in cui ci siamo fermati la mattina troviamo la luna sopra Cairns e sopra l’oceano. Ci fermiamo a fare foto ma ci vorrebbe un cavalletto. Santi riesce comunque a fare alcune foto sbreghis (come dice lui).


Nonostante il cielo un po’ nuvoloso, si vedono le stelle (e si vedono nonostante la luna piena e le luci di Cairns, segno che non vi è traccia di smog o foschia). Orione è strano ma me lo aspettavo: come tutti quelli che ascoltano Guccini, ero stato avvertito della capovolta ambiguità di Orione. In effetti Orione, essendo bassa sull’orizzonte in Italia, si vede anche da questo emisfero. E’ l’unica costellazione che riesco ad avvistare. Il pugnale, naturalmente, è rivolto verso l’alto perché lo sto guardando da sotto.

La Croce del Sud mi sfugge totalmente, forse perché mi ostino a guardare solo le stelle più luminose. Spero in Peter e Julie che mi illuminino sulla posizione della costellazione più famosa di questo emisfero.

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