giovedì 10 gennaio 2008

Ultimo giorno

Ebbene sì, cari amici. Oggi è il nostro ultimo giorno a Sydney e lo dedichiamo a pulire ciò che abbiamo sporcato ed a rifare i bagagli (e meno male che c’è Ale che compatta…).

Alle 16.45 abbiamo il volo dal terminal internazionale dell’Aeroporto di Sydney. Scalo a Bangkok e via a Roma dove, se non ci sono ritardi, arriveremo alle 05.55 del giorno 11. Se riusciamo a farci tutto il secondo volo dormendo, siamo a posto anche con il jet-lag.

Naturalmente il blog non finisce qui. Abbiamo ancora foto e filmati da mettere. Tornate a trovarci alla fine di gennaio per ulteriori novità (prima no perché Santi ha esami, Gianni si deve dar da fare con il nuovo lavoro ed Ale deve capire cosa fare).

martedì 8 gennaio 2008

Manly e… ancora Sydney

Ieri siamo stati a Manly, spiaggia a nord di Sydney, che tutti ci hanno detto essere meglio rispetto a Bondi, spiaggia a sud.

Quindi ferry boat e via. Scoop: il nostro fantastico abbonamento vale anche per andare a Manly, che è praticamente all’altra estremità della baia.

Due parole sulla baia di Sydney. Non è veramente una baia, ma piuttosto l’immenso estuario del Paramatta. È in comunicazione con l’oceano e quindi l’acqua è ovviamente salata, ma ha acque molto tranquille.

Il battello ci impiega circa 30 minuti ad arrivare e nel viaggio facciamo qualche foto. Incrociamo perfino dei delfini che ci accompagnano per un po’. Loro sono troppo veloci per riuscire a fare foto, però sono bellissimi.

Il tempo non è un gran che. Pazienza.

Il nostro obiettivo qui è la Manly Scenic Walkway, camminata da 9 km lungo la baia. In realtà sono 10 km e, come ci avevano detto all’inizio, il percorso non è facilissimo (saliscendi, zone con sassi sabbiosi e quindi molto scivolosi, scale ripidissime) però ciò che vediamo merita sicuramente la camminata. Ogni promontorio delimita una baia più piccola, con acque limpidissime (al molo di Manly, l’acqua non era precisamente pulita) e rocce scavate dall’acqua nei secoli. Uno spettacolo indimenticabile.

Arrivati verso la fine, il sentiero si unisce alla spiaggia e Gianni decide per un bagno (c’è anche un ragazzino che fa snorkelling). L’acqua non è caldissima, ma nemmeno fredda (quindi per Gianni è calda).

Riprendiamo a camminare ed arriviamo distrutti a Spit Point, dove un autobus di linea ci riporta a Manly.

Abbiamo adocchiato una pubblicità di un ristorante molto interessante, sfogliando un depliant: il Ribs’n’Rumps ed andiamo a dare un’occhiata.

E’ praticamente il paradiso del grigliato. Il piatto più scenografico sono Ribs’n’Chips: un chilo di costolette in un unico pezzo (praticamente lo sterno di un maiale o di un agnello, a seconda di cosa scegliete) su un cumulo di patatine fritte (in totale saranno un paio di chili di roba).

Noi scegliamo delle semplici bistecche, che ti cuociono un po’ come ti pare: da blue (praticamente cruda) a well done (più che ben cotta, ma sul menù avvertono che lo fanno a malincuore). Gianni va sul blue, gli altri si tengono su un grado intermedio. La carne è tenerissima ed il prezzo è sensato. Se passate da queste parti si trova a Manly, lato spiaggia oceanica.

Naturalmente ieri il tempo era troppo brutto per farsi il bagno nell’oceano e ci sono i surfisti sulla spiaggia con tavola e lacrimuccia, in attesa che le onde tornino decenti.
Oggi siamo partiti per andare al fantastico Rusty Market. Dove hanno cianfrusaglie di ogni tipo. Vogliamo vedere se ci compriamo un ricordino. A Gianni viene un dubbio: “Ma è aperto oggi?” Ed Ale: “Ovvio che sì, è aperto da giovedì a domenica”. Ok, allora possiamo andare.

Il mercatino non è come ce lo aspettiamo. Saremo nel posto giusto? Sì, tutto ok. Peccato che oggi sia mercoledì… nooooo…

Giretto per Chinatown (niente di speciale), poi giro della città sulla monorotaia (ancora meno speciale), poi via al Durlinghurst, cuore della vita di Sydney (forse di sera, ma di giorno non c’è veramente niente).

Ok. Questa giornata non è andata come pensavamo. Girelliamo ancora un po’ per la città nel pomeriggio e poi via a casa.

lunedì 7 gennaio 2008

Bighellonando per Sydney

Dopo quasi un mese di vacanza, cominciamo ad essere stanchi e non abbiamo più quella verve dei primi giorni.
Oggi abbiamo fatto poco e niente ed abbiamo passato il tempo a bighellonare per Sydney. La mattina è iniziata nuvolosa ed è diventata un fantastico giorno di sole. Gianni ha cominciato la giornata di un bel colore rosa porcellino ed è diventato una lampadina da camera oscura dei fotografi.
Al risveglio, troviamo che l’albero davanti casa è pieno di cacatua. Non ne avevamo mai visti tanti. Pare che qualcuno gli abbia dato da mangiare e quindi si sono radunati.

Mattina tranquilla in Macquarie Street. Partiamo con una visita alla cattedrale di St. Mary. Fuori c’è il presepe, uno dei pochi che abbiamo visto. La chiesa è cattolica, si capisce anche dalla fotona di Papa Ratzinger che pubblicizza la giornata della gioventù (tra 180 giorni a Sydney, o giù di lì). Entriamo da una porta laterale e… la Pietà di Michelangelo (quella di San Pietro). Come imitazione rende l’idea (nel senso che fa proprio pietà). Va beh…
Il resto della chiesa è bello. Stile neo-gotico (qui son troppo giovani per il gotico vero).
All’inizio della strada troviamo il Mint Building, oggi sede di un distaccamento della zecca di stato. In realtà quello che interessa a noi è il Mint Cafè. Incredibile: il caffè è veramente buono. Di solito è uno sbobbone anche il ristretto. Qui invece sa proprio di caffè forte (sempre un po’ più amaro del nostro, ma dopo un mese di sbobba ci accontentiamo).
Andando avanti troviamo un chiosco e dedichiamo questa foto a Quella che non è venuta.

Ebbene sì, questo non è un fotomontaggio: in Australia fanno il cornetto al KitKat, con tanto di KitKat infilato nel gelato (come direbbe Obelix: “Sono Pazzi Questi Australiani”).
Fatti altri 100 metri: la Statua del Porcellino.
Epperò basta: prima la City, poi Hide Park, poi La pietà, ora Il porcellino. Questa Sydney mi pare che stia copiando un po’ troppe cose. Pare che questa copia sia stata donata da una marchesa fiorentina. Una targa recita che porta bene strofinare il muso della statua e gettare una moneta (che vengono utilizzate per l’ospedale e quindi almeno il fine è benefico).
Prossima tappa, il Parliament House. Entriamo, ci controllano al metal detector e non ci chiedono neanche un documento. Veniamo lasciati liberi di girare e di fotografare. Ci uniamo perfino ad una pseudo-visita guidata e la signora che fa da guida spiega anche a noi.
Questo edificio, come il Mint Building erano nati come ali del Rum Hospital, ospedale costruito da una compagnia commerciale in cambio del monopolio sul commercio del rum. Gli interni sono prefabbricati: la signora apre uno sportello nella parete e… la struttura precedente (1816) è anch’essa prefabbricata con elementi in ferro e legno. Il legno è preso da casse per imballaggio, così da evitare ulteriori disboscamenti.
Finiamo Macquarie Street e ci infiliamo nei Royal Botanic Garden. Sono dei giardini fantastici e perfettamente curati. Un cartello invita a calpestare le aiuole, sedersi sui prati, fare pic-nic, poiché vogliono che il giardino sia vissuto come lo sarebbe un giardino lasciato libero.
Ci adeguiamo: io e Ale ci togliamo i sandali e via… a piedi nudi sull’erba. Ale ovviamente continua a cercare nuove prospettive per fotografare l’Harbour Bridge (il ponte sulla baia) e l’Opera House.
Ed in effetti qui, come giri un angolo, ti si offrono paesaggi sempre nuovi. Anche per questo è bello bighellonare per Sydney.
Il giardino è pieno di gente: chi dorme al sole, chi legge, chi disegna, chi corre o passeggia. Eppure il posto è tanto grande che si possono fare foto senza che si avvisti anima viva.
Alla fine del giardino c’è l’Opera House.
E’ tardi, andiamo a mangiare nel posto gremito dell’altro giorno sotto un centro commerciale che non è il Queen Victoria Building come io avevo creduto, ma è un altro, collegato per via sotterranea (gli australiani cominciano a spaventarmi).
Santi, memore di ieri, trova un chiosco e gli spiega per filo e per segno cosa vuole. La ragazza chiede: “Ci vuole insieme riso o noodle?”. “Né l’uno né l’altro” rispondiamo noi. Faccia perplessa. Forse non è previsto non mangiare riso o noodle in accompagnamento ad un piatto ma il cliente ha sempre ragione e Santi ottiene il suo piatto di pesce misto.
Alessandra e Gianni, ancora in crisi dal pranzo del giorno prima prendono un assaggio di Sushi in due e ripiegano verso un chiosco super-sano: yogurt e frutta per Ale, smoothy (frullato ghiacciato) di mango, ananas e blueberry (credo mirtilli, ma non ho certezza, qui hanno 27 tipi di berry diversi) per Gianni.
Dopo pranzo visitiamo il più bel negozio di modellistica che abbiamo mai visto. Ci sono modellini da costruire di ogni tipo e dimensione. Scatole di Meccano enormi e di Lego Technics da favola a 50 AUD (meno di 40 euro). Peccato non avere figli piccoli…
Vogliamo tornare a casa presto, quindi andiamo al supermercato che ci hanno detto essere vicino casa (che ancora non avevamo visitato) per fare la spesa.
Parliamo del concetto di vicino per un australiano: visto che tra due città ci sono in media 1000 km, forse ci dovevamo aspettare che il supermercato non fosse dietro l’angolo. Ci vogliono 20 minuti di autobus per arrivarci.
Dopo 10 minuti di cammino dal capolinea arriviamo ad un centro commerciale. Il supermercato, ci dicono, è al livello 2, scendendo.
Il livello della strada è infatti il livello 4 del centro commerciale. Ormai siamo qui, diamo un’occhiata. Giriamo per mezz’ora tra i negozi, senza vedere la fine di questo sterminato edificio. Saliamo al piano superiore, poi ancora a quello di sopra. Siamo al livello 6 e c’è ancora un altro piano. Non ce la possiamo fare.
Ce ne torniamo fino al piano 2 ed andiamo a fare la spesa.
Una curiosità, ad ogni piano c’è almeno un parrucchiere ed un paio di centri per manicure.
Tornati a casa, Ale decide di fare merenda (perché in tutto questo si son fatte le 17.30). Si tosta una fetta del pane strano che hanno qua e si mette a guardare dal vetro della finestra. In un attimo il davanzale si riempie di cacatua.
Decidiamo di dare un pezzo di pane anche a loro. Prendono il pane ma non rimangono soddisfatti. Forse dovevamo bagnarlo in acqua e miele come faceva Julie.
E domani… A Manly… Son tre giorni che lo diciamo. Speriamo sia la volta buona.

domenica 6 gennaio 2008

La befana da bambini…

Oggi ci siamo concessi una giornata da bambini: mattina all’acquario e pomeriggio al cinema. A pranzo però abbiamo sgrifato come dieci adulti.
Ma andiamo con ordine: stamani era brutto tempo quindi l’acquario andava bene. Tutti dicono sia uno dei più grandi del mondo ma secondo noi è sopravvalutato. Siamo in tre e a tutti e tre sembra che quello di Genova sia più grande. Forse questo è più popolato (un maggior numero di specie), ma va detto che qui siamo in una nazione/continente che si estende dai tropici alle zone temperate, per cui la biodiversità è sicuramente maggiore. E’ notevole il fatto che alcuni pesci siano in vasche oceaniche e visibili solo dai tunnel di passaggio tra le vasche.
Comunque, per prima cosa incontriamo l’animale più strano del mondo: l’ornitorinco (che qui chiamano platypus, ma forse questo l’ho già detto).

E’ anche lui un mammifero dei monotremi (fa le uova e allatta), è velenoso (incredibile, lo so, ma è così: ha dei pungiglioni velenosi sulle zampe posteriori), passa la maggior parte del suo tempo a costruirsi la tana e ad abitarla e nuota solo per cacciare. A vederlo sembra un incrocio tra un papero e un castoro.
Questo animale è sacro per gli aborigeni e non viene cacciato. E ora vi tocca la leggenda… (la metto in blu, così potete saltarla).
Nel Tempo dei sogni, quando gli spiriti ancestrali dovevano decidere i totem, tutte le specie di animali tennero consiglio.
I primi furono gli uccelli, che decisero di invitare al loro consesso l’ornitorinco poiché aveva il becco come il papero e deponeva le uova. L’ornitorinco ringraziò e prese tempo per pensare.
Quando gli animali di terra si incontrarono tra loro il canguro propose di invitare l’ornitorinco, poiché abitava sulla terraferma ed aveva la pelliccia. L’ornitorinco ringraziò e prese tempo per pensare.
Infine anche i pesci si riunirono ed invitarono anche loro l’ornitorinco poiché aveva le pinne ai piedi e nuotava incredibilmente bene. L’ornitorinco, stupito da quest’ennesima richiesta, prese di nuovo tempo.
Si consigliò a questo punto con l’amico echidna (ricordate? Anche lui dei monotremi) che gli consigliò di non unirsi ad alcuno dei tre gruppi. L’ornitorinco accettò il consiglio, invitò tutti gli animali e comunicò loro la sua decisione: “Comprendo gli uccelli poiché, come loro, devo tener calde le mie uova. Comprendo i pesci poiché anche io devo cercare il mio cibo nelle profondità delle acque. Sono vicino agli animali della terra poiché anche io appartengo alla terrà ed ho una pelliccia. Tuttavia sono grato a Byamee, il Padre-di-tutto, perché mi ha fatto un po’ diverso da tutti voi. Spero perciò che quando incontrerete qualcuno della mia famiglia vi ricordiate del Padre che ha fatto ognuno di noi diverso dall’altro”.
Gli aborigeni, che a quell’epoca erano in comunicazione con i loro animali-totem, conobbero le parole dell’ornitorinco e capirono la sua unicità.
Come ho già detto a suo tempo, qui hanno gli animali più strani del mondo (a parte me, ovvio). Tipo la tartaruga-giraffa e il pesce-gatto (che però avevo già visto in altre occasioni):
Andando avanti abbiamo visto aragoste giganti, pinguini nani, foche, tutti i pesci del cartone animato “Alla ricerca di Nemo”.
Non ci crederete, ma Flo (l’amica che parte con Marlin alla ricerca di Nemo), l’hanno fatta uguale, anche come nuota….
Ovviamente non potevano mancare gli squali e il pesce che si arrabbia quando viene fotografato (qui lo vedete mentre cerca di strappare la macchina fotografica a Santi).
Usciti dall’acquario, siamo stati calamitati dall’IMAX, cinema tridimensionale. Per le 16 è prevista la proiezione di Bewolf in 3D. Gli altri film sono poco attraenti. Il tempo non è dei migliori e quindi compriamo il biglietto.
Poi ci dirigiamo verso il Mercato del Pesce, poiché Alessandra ci chiede fish’n’chip da tre giorni. Io e Santi ci guardiamo: “Stavolta non ci facciamo imbrogliare: ordiniamo quattro fish e due chip”. Non perché nel fish’n’chip mettano poco pesce, ma perché le patate sono comunque sempre il doppio o il triplo in peso.
Arriviamo al Mercato e giriamo intorno per 10 minuti prima di trovare l’ingresso. Vi sono dei magazzini colossali (quelli in cui la Guida dice che si svolga l’asta del pesce all’alba: l’alba è troppo presto per arrivare qua) ed una specie di corte di negozi di pesce e ristoranti che circondano l’ingresso vero e proprio del mercato spicciolo. Qui ogni sala è un negozio di pesce ed in ogni negozio ti cucinano il pesce che compri un po’ come ti pare. All’interno ci sono anche il negozio di frutta e verdura e quello di vini bianchi. La parte aperta al pubblico non è colossale, saranno 10-20 negozi all’interno (più altri 10-15 nella corte) ma c’è una varietà incredibile di pesce. In alcuni posti vediamo le aragoste a 25 AUD al chilo.
Dopo un po’ di indecisione, vediamo passare dei piatti di pesce colossali e risaliamo il flusso come salmoni per trovare l’origine. E’ un banco un po’ più grande degli altri letteralmente assediato di gente ma organizzato benissimo: ordini e ti danno un numero. Una ragazza alla cassa chiama i numeri con il microfono a guancia e quello che sembra il padrone riscuote e dà i resti.
Alessandra vuole un semplice fish’n’chip (naturalmente per il fish puoi scegliere tra snapper, barramundi, baccalà e sogliola) con lo snapper. Io e Santi decidiamo per il piatto fritto per due. Purtroppo le patate sono comprese. Ci danno un misto abbastanza decente: vari pezzetti di pesce fritto (misti), polpa di granchio, calamari e gamberoni in pastella, polipetti in umido, cappesante gratinate, ostriche gratinate.
Buono ma ci aspettavamo qualcosa di diverso. Santi dice che avrebbe voluto un piatto fatto diversamente e Gianni ha l’idea geniale (e in quello non ci sarebbe niente di male, il male è che gli altri non lo bloccano): facciamoci fare un piatto come vogliamo noi.
Gianni e Santi vanno ad ordinare: Santi sceglie e Gianni parla nel suo inglese con una signorina dai tratti orientali che parla australiano. “Vorrei un piatto con questo e questo (pezzetti di pesce, polpa di granchio, calamari e gamberoni fritti)”. “Quanto?” chiede lei. “Sei pezzi di ciascuno” risponde Gianni.
Ora, Santi conferma che Gianni ha detto le cose giuste. Di fatto insieme al resto ci sono anche i polipetti in umido ma tutto è in proporzioni più che doppie di quelle richieste.

Questo piccolo piatto di pesce (sarà almeno un chilo di roba) ci è costato 39 AUD (che credo faccia un po’ meno di 25 euro). Ci siamo fatti aiutare da Alessandra ed abbiamo finito tutto. Poi siamo rotolati fino in centro, giusto per fare un po’ di moto.
In centro c’è una fantastica libreria di fantascienza/fantasy e ci siamo fiondati. Hanno di tutto e di più: le spade laser di Star Wars, i DVD di Astroboy e di Doctor Who, tutti i libri di Star Trek, libri che narrano le storie al contorno di Diablo (il gioco elettronico).
Guardando a caso qua e là ad un certo punto ho visto un titolo… Dirk Gently Omnibus. Ebbene sì, ho finalmente trovato un libro che contiene anche il secondo romanzo del fantastico investigatore creato dal genio di Douglas Adams (quello della Guida Galattica, ve lo ricordate? No? Strano, in Australia, le tre volte che l’ho nominato, lo conoscevano tutti. Lo dicevo io che è un paese civile).
Comunque fatto sta che ora possiedo un libro che oltre a Dirk Gently, investigatore olistico, contiente anche The long dark tea-time of the soul. Se foste romani mi direste “E ‘sti cazzi” (che in italiano può essere tradotto con “non ce ne interessa alcunché”. Epperò io lo cercavo da troppissimo tempo. Speriamo di farcela per Adams in inglese è un osso duro (anche perché per ogni frase ci sono due giochi di parole ed una citazione).
Arriviamo al cinema almeno un’ora prima dell’inizio dello spettacolo. Bella mossa perché dopo venti minuti la gente inizia a mettersi in fila.
Il film è davvero in 3D (ovviamente con appositi occhialetti) e devo dire che non mi è neanche dispiaciuto, sia per trama che per cast. Se non fosse per l’inutile attore che interpreta il protagonista (ma credo che non sia un cane, è che l’hanno disegnato così), potrebbe essere un gran film.
Scherzi a parte: l’inglese di questo film si capisce abbastanza bene (a parte il mostro che, giustamente, ha un dialetto un po’ tutto suo) ed il 3D è una cosa fenomenale. Tra i trailer presentavano il concerto degli U2 in 3D: evento o rebus?
Arrivati a casa, siamo talmente pieni dal pranzo che saltiamo la cena. Solo una fetta di melone per Gianni e Santi e del cioccolato per Alessandra.




sabato 5 gennaio 2008

Rocks e Harbourside

Oggi giornata tranquilla: stamani pioveva e quindi ce la siamo presa comoda.
Una passeggiata per i Rocks, dove abbiamo visto il mercatino domenicale. Alcune cose strane ma niente di particolarmente interessante (la guida ci aveva avvertito).
Poi traghetto per andare verso l’Harbourside. In realtà la nostra prima idea era quella di andare all’acquario, ma era già tardi e volevamo anche pranzare, quindi abbiamo cambiato destinazione.
Ci vuole più a farla in traghetto che a piedi ma, come già ci avevano detto in molti, la prospettiva d’acqua è diversa da quella di terra e noi ci siamo adeguati.
L’Harbourside è una specie di centro commerciale in mezzo alla baia, con l’esterno in ferro e vetro, vecchio stile tipo esposizione universale. Mangiamo, sempre su consiglio della guida (quando dico guida, intendo la nostra Lonely Planet per l’Australia), allo Zaaffran, ristorante indiano.
Il ristorante è lussuoso. Forse un po’ troppo per gente vestita come noi ma ci fanno comunque entrare (dentro ci sono australiani vestiti anche peggio).
Il pranzo si fa attendere un po’ (il cameriere ci aveva avvertito), ma è una sinfonia di sapori. Salsine delicate alla cannella, piccanti alla menta, ultrapiccanti al curry. Mangiamo pollo e, forse, manzo (non ci ricordiamo cosa abbiamo ordinato ma ci è arrivato un pie pieno di riso e spezzatino dal sapore fantastico).
Qui il piccante piace anche ad Alessandra. “Perché è un piccante pieno di sapori”, spiega. Ed ha ragione. Ok, la prossima volta indiano anche a Firenze: dobbiamo confrontare.
Davanti all’Harbourside c’è il museo navale, con tanto di nave da guerra, sommergibile da guerra e ricostruzione dell’Endeavour, la nave che portò in Australia il capitano Cook.
Il museo è tutto a vetri ed Alessandra fotografa il muro di grattacieli che la città erge come scudo verso questa parte di baia.

Come dite? Belle, ma si vede il riflesso? Non ci siamo capiti: Alessandra ha fotografato il riflesso dei grattacieli sui vetri.
Poiché ormai si è fatto tardi passeggiamo fino al centro, prendiamo 2 cose al supermercato e torniamo a casa (Santi deve finire il suo homework per le vacanze).

APPELLO CIRCOLARE

QUESTO APPELLO È DELLA MASSIMA IMPORTANZA, DATEGLI QUINDI LA MASSIMA DIFFUSIONE: CHI VUOLE UNA CARTOLINA LASCI NOME E INDIRIZZO COME COMMENTO A QUESTO POST. MI RACCOMANDO, AVETE TEMPO FINO AL MASSIMO A LUNEDÌ 7 (PERCHÉ NOI SIAMO UN GIORNO AVANTI).

P.S. QUESTO NON VALE PER JIGEN E PER EUPOLIS, CHE SONO GIÀ STATI CONTEGGIATI. MICHI, PREMPA, LASCIATEMI IL VOSTRO INDIRIZZO!!!!

Mattina

Stamani piove, ma finalmente riusciamo a parlare in maniera sensata con mamma Gisella. Ieri sera avevamo provato a chiamare babbo Marino, ma non era a casa (e non ci siamo troppo stupiti).

Qui la connessione non è delle migliori e non riesco a fare l’upload delle foto. Cercherò di metterle quando torno a casa.

venerdì 4 gennaio 2008

Sydney e riflessioni (o viceversa)

Stamattina siamo partiti presto. Peter e Julie, gentili come sempre, ci hanno accompagnato all’aeroporto.

Lo scambio casa fatto come abbiamo fatto con loro è un gran modo di viaggiare. Negli altri scambi è stato quasi come andare in albergo (senza pagare in effetti, ma in un posto che forse non è il più vicino a dove pensavi tu): arrivi, stai, vai via.

Con Peter e Julie è stato diverso: loro sono stati da noi a Firenze e quindi hanno voluto ricambiare l’ospitalità stando con noi a Palm Beach ed è stato fantastico: abbiamo cercato di capire come vivono loro qui e loro hanno cercato di capire come viviamo noi dall’altra parte dell’oceano.

Siamo agli antipodi non solo geograficamente, ma anche come modo di vivere e di pensare.

Ad esempio, in Italia, quando conosci qualcuno fuori dall’ambito professionale che fai? Un bacio per guancia e via. Qua no!!! Julie incoraggiava gli amici ad adattarsi alla maniera italiana ma si vedeva che qualcuno era reticente (come lo è stato oggi Geoff che ha detto ha Santi: “No! Non importa, grazie”).

Quando hanno saputo che Santi deve fare un esercizio durante le vacanze di Natale si sono stupiti: qui non danno compiti durante le vacanze. E’ anche vero che le vacanze sono spicciolate rispetto alle nostre (ovvero non ci sono mai tre mesi tutti insieme), ma di fatto non ci sono compiti. Il fatto che io, in prima superiore, avessi dovuto leggere 14 libri durante l’estate ha così impressionato Julie che lo ha raccontato anche al figlio e agli amici.

Il modo con cui si relazionano al cibo è diverso: ampia colazione, pranzo leggero e cena come le nostra. Non si dà troppo peso agli ingredienti, basta che il sapore sia quello giusto.

Riflettevo su questo l’altra sera in chat con Emanuele: qui hanno spazi enormi e tutto si dilata di conseguenza. Il tempo, i punti di vista, la cortesia.

Una cosa che mi ha fatto riflettere: sulla Gold Cost (un posto di mare che più non si può), le palestre aprono alle 5 di mattina e Julie alle 5.30 va in palestra, torna a casa, prepara la colazione e fa colazione e poi va al lavoro.

Ale le ha ribattuto: “Da noi ci vanno tutti la sera in palestra”. E Julie serafica: “Sì, ma la sera sono stanca per il lavoro e non ci metterei lo stesso impegno”.

A volte penso che siamo noi che sbagliamo.

Non è tutto oro, da questa parte del mare, è ovvio. Ad esempio le case costano un botto (anche un botto e mezzo talvolta). Mi direte: anche da noi. Ok, ma qui molto di più. Una casa in un paesino costa quanto una in centro a Firenze. Non voglio sapere quanto costano quelle nel centro di Sydney (anche perché se poi scopro che costano meno, mi crollano tutte le certezze).

L’Australia, tutta intera, ha 25-26 milioni di abitanti. Vero, stanno quasi tutti sulla costa, ma fatevi un conto di quanta costa hanno… Noi stiamo in quasi 60 milioni su un lembo di terra grosso quanto uno stivale. Per forza il modo di pensare è diverso.

Sydney ha 2 milioni di abitanti. Credo che Milano ne abbia la stessa quantità se non di più. Però stasera nel tornare a casa (zona 3 dell’abbonamento dell’autobus, non fuori città), ci siamo accorti che stiamo praticamente in campagna.

Comunque, torniamo a Sydney, che è più importante.

All’aeroporto ci ha accolto Geoff, che è venuto a prenderci con un pick-up (che qui chiamano ULE) perché non si sa mai con le valige…

Ci ha dato un mazzo di volantini ed il giornale di oggi (perché domani comincia il festival estivo di Sydney). Ha fatto un lungo giro panoramico in macchina spiegando cosa dovevamo andare a vedere, dove prendere il bus, fino a dove arrivare nel caso avessimo deciso di prendere l’automobile di sua moglie, dove fare la spesa, la piscina, i ristoranti.

Ci hanno lasciato a casa e ci hanno spiegato tutto. Torneranno a prenderci il 10 gennaio per portarci all’aeroporto. Quando gli ho detto che tutti gli australiani che ho incontrato sono persone meravigliose e gentilissime mi ha risposto: “Perché no? La vita in fondo è così breve”.

La casa è più piccola delle altre ma è fantastica: siamo sulla baia di Sydney. Non in senso figurato: la casa da proprio sulla baia. Sotto casa sono parcheggiati i battelli e volendo si può andare a piedi sulle anse del Paramatta.

Sugli alberi davanti casa ci sono Cokatoa bianchi (che al tramonto fanno una gran confusione, per l’alba vi saprò dire poi), corvi alti quasi quanto un pastore tedesco e altri uccelli che non identifico.

Le finestre non hanno tende, si scusa Geoff ed aggiunge: “Ma con un panorama così, che me ne faccio delle tende?” E non gli so dare torto. La vista di sera è quasi più bella di quella di giorno. Ti accorgi delle case fra gli alberi giusto dalle luci accese ed il panorama cambia da bosco a paese costiero (forse esagero un po’, ma vi assicuro che la prima impressione è questa).

Appena i padroni di casa ci lasciano, usciamo per andare a Sydney. Tra l’altro ci hanno lasciato un quaderno con tutte le istruzioni possibili ed immaginabili (compresa la lista dei ristoranti che a loro sono piaciuti di più e gli orari degli autobus).

L’autobus passa sull’Harbour Bridge (il ponte sulla baia) ed è uno spettacolo: si vede l’Opera House da quassù ed è bella come nei film.

Scendiamo in pieno centro: la City (lo so, forse hanno copiato un po’ Londra ma che ci possiamo fare?). Ci sono grattacieli dappertutto. Più alta di ogni altra cosa è la torre panoramica.

Girato un angolo una sorpresa:: un edificio in stile vittoriano (che infatti si chiama Queen Victoria Building) che a prima vista sembra una stazione ma si rivela invece essere un fantastico centro commerciale (sempre due isolati, naturalmente, collegati tipo Galleria del Vasari). Mangiamo nel seminterrato, dove troviamo la più grande raccolta di take-away che io abbia mai visto. A parte i panini tipo McDonald ed il Fish’n’Chip, che non potevano mancare, c’è di tutto: pastasciutta in porzioni nei negozi italiani, kebab in ogni salsa in quelli arabi, crepes alla francese, sushi giapponese, arancini siciliani, piadine venete, negozi di ciambelle, caffetterie, pizzerie. Forse mancano solo i venditori di trippa e lampredotto (o di pane e panelle e pane ca’ meusa se preferite).

C’è una confusione indescrivibile fra i tavoli: dobbiamo urlare per farci sentire. Per avere un’idea della cosa, figuratevi uno spazio grande quanto un campo da calcio riempito di persone in pausa pranzo che mangiano e chiacchierano.

Usciamo, ci facciamo un giro da Billabong e, mentre la commessa ci attacca un bottone infinito, Santi si compra costume e pantaloncini a saldo (certo, qui non c’è mica la befana: i saldi iniziano subito dopo Natale).

Il municipio è anch’esso un edificio in stile 800 e la cattedrale accanto è barocca. Tutto intorno ci sono i grattacieli.

Ad un supermercato (siamo entrati per comprare da bere) ho trovato il Chinotto Bisleri. Ve la ricordate la Ferrochina o siete troppo giovani? Incredibile ma la Bisleri qui resiste.







Ci incamminiamo verso il mare, fino ad arrivare al Circolar Quay. Non so cosa sia un quay, ma so che ce ne sono tanti a Parigi, quindi chiedete ai francesi. Sicuramente questo è solo semi-circolare, perché nell’altra metà del cerchio c’è la baia di Sydney. Inutile dire che da qui si possono vedere contemporaneamente il ponte ed il teatro dell’opera.


Da qui si riesce a dare anche uno sguardo interessante alla baia. Come tutto il resto in questo paese, è immensa: una fila di battelli e ferry boat sono attraccati ai vari moli del Circular Quay e vi è un traffico continuo in ingresso ed in uscita. E siamo solo in un ansa della baia. Davanti a casa (altra ansa più piccola) sono parcheggiate una ventina di barchette.

Alessandra fa milioni di foto al Ponte ed al Teatro, che in effetti è spettacolare, visto in questo contesto.

Ci facciamo un giro sotto il Ponte e sul belvedere del pilone. La vista è emozionante (sto finendo gli aggettivi). Si potrebbe fare anche la passeggiata sulle arcate del ponte (con tutina e cavi di sicurezza) ma costa 220 AUD (che sarebbe circa 150 € per uno) e quindi ci stiamo pensando.

Dal Ponte si vedono i Rocks, un antico quartiere dell’800 che visiteremo meglio nei prossimi giorni.

Si vede anche un palazzo dalle strane geometrie: a prima occhiata sembra bidimensionale, poi pare che la facciata sia posticcia.

Ci avviciniamo al Teatro dell’Opera. Sul Circular Quay, davanti al teatro, ci sono caffetterie con centinaia di persone, di ogni età e vestiti in ogni modo, che prendono l’aperitivo. L’apparenza del teatro cambia, avvicinandosi: da lontano i tetti possono sembrare vele. Da qui, vedendo anche il vetro, sembrano balene con la bocca aperta o enormi chiocciole.




Torniamo a casa sfruttando il fantastico pass che ci siamo comprati: tutti i treni, ferry e bus nelle zone da 1 a 8.

Prendiamo il treno al teatro, andiamo in centro e riprendiamo il bus. Scendiamo al supermercato di Lane Cove, ma non ci rendiamo conto che l’autobus che ci ha lasciato qui, non si ferma più a questa fermata e non sappiamo dove sia l’altra.

Quando usciamo ci rendiamo conto che l’altro autobus non passerà prima di un’ora e quindi decidiamo di andare a piedi. Ce la caviamo in circa 25 minuti.

giovedì 3 gennaio 2008

Animali, cibo e pioggia

Ieri il tempo era piuttosto buono e ce ne siamo andati al Currumbine Sanctuary, una specie di parco naturale ad un passo dalla città con animali praticamente liberi di girare (tranne per i più pericolosi, tipo i serpenti). Qui gli animali sembrano ben nutriti ed in buone condizioni, non come a Kuranda, dove sia koala che canguri avevano l’aspetto sofferente e spelacchiato.
Prima attrazione appena arriviamo: lorrikeet feeding ovvero la colazione dei pappagallini. Alessandra, che teme gli animali, non si presta. Io e Santi sì. E’ presto e non ci sono molti turisti in giro, quindi tutti i pappagallini sono per noi. Ci danno una ciotola (sembra latte e miele dall’aspetto) e veniamo sommersi, come si vede dalle foto.

Mentre aspettiamo che inizi la prossima attrazione ci facciamo un giro tra gli animali più visitati. Serpenti e koala. Ovviamente il 97% dei koala dorme. Solo uno è sveglio e attivo, ma solo per pochi minuti.


Andiamo poi a vedere la colazione di pellicani ed anguille (stanno cominciando ad arrivare i turisti, quindi è più difficile far foto) e quella dell’echidna.

Dunque, l’echidna è un animale dei monotremi (come l’ornitorinco, che qui chiamano platypus), ovvero fa le uova e allatta i piccoli. Dal musetto da formichiere può estendere una lingua di una quindicina di centimetri che può muovere in tutte le direzioni una ventina di volte al secondo (prego i lettori di risparmiarsi facili ironie). Si ciba per lo più di termiti che trova nel legno degli alberi caduti.

Il prossimo spettacolo è quello dei serpenti. Niente di speciale però ti spiegano cosa devi fare se incontri uno dei dieci serpenti di terra più mortali del mondo: stare immobile. Pare infatti che il serpente possa vederti e registrarti come un pericolo solo se ti stai muovendo. In caso di morso si deve fasciare a valle della parte morsa in modo che il veleno non possa entrare in circolazione e restare immobili (se siamo con qualcuno che ci può portare all’ospedale, sennò è meglio andare in cerca di qualcuno).

La ranger raccomanda di non cercare di catturare il serpente per far capire all’ospedale quale antidoto utilizzare: possono rendersene conto da soli analizzando ferita e veleno.

Finito lo spettacolo andiamo in giro a vedere gli animali. Canguri ed emu sono nella stessa zona e vengono nutriti ad orari predefiniti. I canguri sono piuttosto socievoli e si prestano alle coccole. Nel momento in cui arriviamo noi sono piuttosto sonnolenti perché le ora di attività, come sempre sono quelle più fresche (alba e tramonto).

Andando più avanti ci troviamo davanti al coccodrillo di mare. Finora avevamo visto solo coccodrilli di fiume (e sempre in recinti o da molto lontano) ed erano grossi ma niente di speciale. Questo è semplicemente ENORME (ed in un recinto, ovvio). Potrebbe fare un boccone solo di uno wallabi adulto (poco più piccolo di un canguro) però potrebbe mangiarsi anche un umano adulto di un quintale con due bocconi (e Gianni passa alla larga).

Subito dopo il coccodrillo ci imbattiamo in alcune persone che si stanno cimentando in una specie di percorso tra gli alberi (ponti sospesi, cavi, etc).

Ok. Lo vogliamo fare anche noi. Oddio, io non sono così sicuro, ma mica posso lasciare Santi da solo. Ci imbracano e ci fanno vedere un video su cosa dobbiamo fare.

Al primo albero c’è una scaletta. Facile. Parte Santi, faccio passare avanti un bambino che sembra sapere il fatto suo e poi vado anche io. Non andiamo bene: per raggiungere la piattaforma seguente si deve camminare su un cavo Santi sembra in difficoltà (scoprirò solo alla fine che aveva le scarpe con il cuoio sotto e scivolava) ed io ho le vertigini sulla piattaforma. Decido di seguire la tecnica utilizzata dal bambino prima di me. Tutto ok. Alla seconda piattaforma il bambino prende un guanto. La ranger che è sotto di noi lo prende, mi guarda e mi dice: “Te lo lancio, daglielo tu”. Oh, un attimo: 1) il bambino non è mio; 2) sono in piedi su questa piattaforma per miracolo, mi tremano le ginocchia, ho le vertigini e tu vuoi che faccia lo sforzo di prendere un guanto?

Non so tradurre tutto questo in inglese ed il guanto è già in volo. Lo afferro (ottimo lancio, in realtà) e proseguo. La seconda passerella è un ponte con due corde parallele ed un piolo di tanto in tanto. Il ragazzino cammina con tranquillità su una delle due corde del ponte. La mia ponderosità non me lo consente e quindi annaspo cercando di allungare le gambe da un piolo all’altro e nel frattempo mi chiedo: ma chi me lo ha fatto fare? Alessandra nel frattempo è a terra che se la ride beata e fa i filmini con la macchina fotografica. Santi è avanti di almeno due alberi.

Rendo il guanto al ragazzino che mi ha aiutato facendo il tifo mentre passavo tra due pioli particolarmente distanti. La passerella seguente ha delle altalene sospese a mezz’aria (oh, in tutto questo sono sempre agganciato ad un filo di sostegno).

Finalmente arriva la parte facile: sono sospeso ad un filo con due corde ed una carrucola e mi devo trascinare dall’altro lato a forza di braccia (giuro che, rispetto al resto, è stato uno scherzo). Poi un ponte di funi. Infine la Flying Fox. “Dai”, mi incoraggia il ragazzino “Questa è la parte divertente”.

Fin qui siamo saliti. Adesso mi devo riattaccare con la carrucola alla fune e lanciarmi giù per un cavo in discesa. Beh, di qualcosa si deve morire no?

Sono arrivato comunque sano e salvo. Una volta atterrato scopro che anche Santi, che a me sembrava andare alla grande, ha avuto qualche momento critico.

Alessandra commenta: “Se avessi avuto le scarpe da ginnastica e non gli infradito l’avrei fatto anche io”. Dobbiamo crederle?

Più avanti troviamo i canguri degli alberi. Sono una specie di scoiattoli in formato gigante e danno l’impressione di essere morbidissimi.


Nella stessa zona ci sono anche i Cassowari (che per come lo pronunciano i locali e per l’aspetto incazzoso, Santi ha rinomato i “Cazzo guardi?”). Attendevamo di vederne uno fin da Cairns. Finalmente ce l’abbiamo fatta.


In ampie voliere sono custoditi i Cokatua (o cacatua): pappagalli col ciuffo dall’aspetto maestoso e dai colori bellissimi.

Dei vombati vediamo solo il musino spuntare da una tana. Del diavolo della tasmania neanche quello perché è attivo solo di notte. I cartelli informativi dicono che copre da solo una buona metà della catena alimentare: può mangiare dal verme al canguro. Ma allora la Warner Bros aveva ragione…

I dingo, o cani della prateria, sono animali ormai considerati feroci. Secondo i cartelli informativi hanno avuto il grande merito di sterminare l’80% dei conigli selvatici.

Ormai è definitivo: qui hanno gli animali più strani del mondo. Ed anche i nomi che gli danno non aiutano: ve lo immaginate voi il “Papero che vagabonda fischiettando?”. Allora guardate la foto.

Dopo pranzo, esibizione degli uccelli predatori: aquila, una specie di civetta che mi è parso chiamassero bunyp (che però è un mostro del fango di alcune tradizioni aborigene), pappagalli, ed altri.

Infine le danze aborigene. I danzatori non sembravano molto aborigeni all’apparenza ma il suonatore di didjeridoo (strumento tipico) era fantastico.

Siamo stati riaccompagnati a casa dagli amici di Peter e Julie che verranno in Italia a Luglio e che hanno modificato il loro piano di viaggio dopo che gli abbiamo fatto vedere alcuni siti italiani e che volevano ringraziarci (gli australiani sono gente fantastica).

Peter e Julie ci hanno infine portato a cena al ristorante giapponese Shogun a mangiare il Teppanyaki. La parola significa “cucina alla piastra”, un altro tipo di barbecue, praticamente, ma la vera sorpresa stava nello spettacolo. Eravamo seduti attorno al cuoco che, oltre a fare il giocoliere con coltello e forchettone, ogni tanto ci imboccava “al volo” con pezzetti di frittata o prendeva la saliera al volo con il cappello.

Uno spettacolo entusiasmante (che credo facciano da qualche parte anche in Italia ma che io non avevo mai visto) ed una cucina molto buona.

Vi proponiamo una foto dei nostri amici, con uno dei tre figli: David.

Oggi avremmo voluto andare ad un parco di divertimenti (da queste parti abbondano) ma pioveva troppo e abbiamo rinunciato. Stamani abbiamo fatto il bucato e siamo andati a fare la spesa. Peter e Julie hanno infatti chiesto ad Alessandra di fare la bruschetta per pranzo. Visto che non si fa niente, abbiamo detto, proviamo anche a fare qualcosa di italiano per cena. Cosa meglio della pizza, dato che Santi non mangia pasta?

La bruschetta, fatta sia nella versione con il pomodoro che in quella con i fagioli e l’aglio strusciato sul pane, ha riscosso un enorme successo (e pensare che al pensiero dei fagioli gli australiani avevano sgranato tanto d’occhi).

Dopo pranzo, una passeggiata digestiva. Arrivati però a metà percorso (ovvero nel punto più lontano dalla macchina) si sia messo a piovere di brutto. Tornati alla macchina Gianni e Peter si sono levati la maglietta e l’hanno strizzata. Le ragazze si sono limitate ad avvolgersi in un asciugamano.

Tornati a casa, via con la pizza. Qui il lievito di birra non esiste, quindi ci siamo dovuti adattare a quello secco e questo ha dato alla pasta una consistenza che non mi è piaciuta molto. Loro sono rimasti entusiasti ma siamo d’accordo che quando torneranno in Italia nel 2010, faremo loro assaggiare la pizza fatta in casa con i nostri ingredienti.

Ed ora a letto, perché domattina si parte alle 7.20 per Melbourne. Per fortuna l’aeroporto è a 10 minuti da casa, così si parte alle 6.10.

Ci dispiace un po’ lasciare Peter e Julie perché sono stati incredibilmente gentili ed ospitali. Dall’altro lato siamo curiosissimi di vivere una settimana in una grande città.