lunedì 7 gennaio 2008

Bighellonando per Sydney

Dopo quasi un mese di vacanza, cominciamo ad essere stanchi e non abbiamo più quella verve dei primi giorni.
Oggi abbiamo fatto poco e niente ed abbiamo passato il tempo a bighellonare per Sydney. La mattina è iniziata nuvolosa ed è diventata un fantastico giorno di sole. Gianni ha cominciato la giornata di un bel colore rosa porcellino ed è diventato una lampadina da camera oscura dei fotografi.
Al risveglio, troviamo che l’albero davanti casa è pieno di cacatua. Non ne avevamo mai visti tanti. Pare che qualcuno gli abbia dato da mangiare e quindi si sono radunati.

Mattina tranquilla in Macquarie Street. Partiamo con una visita alla cattedrale di St. Mary. Fuori c’è il presepe, uno dei pochi che abbiamo visto. La chiesa è cattolica, si capisce anche dalla fotona di Papa Ratzinger che pubblicizza la giornata della gioventù (tra 180 giorni a Sydney, o giù di lì). Entriamo da una porta laterale e… la Pietà di Michelangelo (quella di San Pietro). Come imitazione rende l’idea (nel senso che fa proprio pietà). Va beh…
Il resto della chiesa è bello. Stile neo-gotico (qui son troppo giovani per il gotico vero).
All’inizio della strada troviamo il Mint Building, oggi sede di un distaccamento della zecca di stato. In realtà quello che interessa a noi è il Mint Cafè. Incredibile: il caffè è veramente buono. Di solito è uno sbobbone anche il ristretto. Qui invece sa proprio di caffè forte (sempre un po’ più amaro del nostro, ma dopo un mese di sbobba ci accontentiamo).
Andando avanti troviamo un chiosco e dedichiamo questa foto a Quella che non è venuta.

Ebbene sì, questo non è un fotomontaggio: in Australia fanno il cornetto al KitKat, con tanto di KitKat infilato nel gelato (come direbbe Obelix: “Sono Pazzi Questi Australiani”).
Fatti altri 100 metri: la Statua del Porcellino.
Epperò basta: prima la City, poi Hide Park, poi La pietà, ora Il porcellino. Questa Sydney mi pare che stia copiando un po’ troppe cose. Pare che questa copia sia stata donata da una marchesa fiorentina. Una targa recita che porta bene strofinare il muso della statua e gettare una moneta (che vengono utilizzate per l’ospedale e quindi almeno il fine è benefico).
Prossima tappa, il Parliament House. Entriamo, ci controllano al metal detector e non ci chiedono neanche un documento. Veniamo lasciati liberi di girare e di fotografare. Ci uniamo perfino ad una pseudo-visita guidata e la signora che fa da guida spiega anche a noi.
Questo edificio, come il Mint Building erano nati come ali del Rum Hospital, ospedale costruito da una compagnia commerciale in cambio del monopolio sul commercio del rum. Gli interni sono prefabbricati: la signora apre uno sportello nella parete e… la struttura precedente (1816) è anch’essa prefabbricata con elementi in ferro e legno. Il legno è preso da casse per imballaggio, così da evitare ulteriori disboscamenti.
Finiamo Macquarie Street e ci infiliamo nei Royal Botanic Garden. Sono dei giardini fantastici e perfettamente curati. Un cartello invita a calpestare le aiuole, sedersi sui prati, fare pic-nic, poiché vogliono che il giardino sia vissuto come lo sarebbe un giardino lasciato libero.
Ci adeguiamo: io e Ale ci togliamo i sandali e via… a piedi nudi sull’erba. Ale ovviamente continua a cercare nuove prospettive per fotografare l’Harbour Bridge (il ponte sulla baia) e l’Opera House.
Ed in effetti qui, come giri un angolo, ti si offrono paesaggi sempre nuovi. Anche per questo è bello bighellonare per Sydney.
Il giardino è pieno di gente: chi dorme al sole, chi legge, chi disegna, chi corre o passeggia. Eppure il posto è tanto grande che si possono fare foto senza che si avvisti anima viva.
Alla fine del giardino c’è l’Opera House.
E’ tardi, andiamo a mangiare nel posto gremito dell’altro giorno sotto un centro commerciale che non è il Queen Victoria Building come io avevo creduto, ma è un altro, collegato per via sotterranea (gli australiani cominciano a spaventarmi).
Santi, memore di ieri, trova un chiosco e gli spiega per filo e per segno cosa vuole. La ragazza chiede: “Ci vuole insieme riso o noodle?”. “Né l’uno né l’altro” rispondiamo noi. Faccia perplessa. Forse non è previsto non mangiare riso o noodle in accompagnamento ad un piatto ma il cliente ha sempre ragione e Santi ottiene il suo piatto di pesce misto.
Alessandra e Gianni, ancora in crisi dal pranzo del giorno prima prendono un assaggio di Sushi in due e ripiegano verso un chiosco super-sano: yogurt e frutta per Ale, smoothy (frullato ghiacciato) di mango, ananas e blueberry (credo mirtilli, ma non ho certezza, qui hanno 27 tipi di berry diversi) per Gianni.
Dopo pranzo visitiamo il più bel negozio di modellistica che abbiamo mai visto. Ci sono modellini da costruire di ogni tipo e dimensione. Scatole di Meccano enormi e di Lego Technics da favola a 50 AUD (meno di 40 euro). Peccato non avere figli piccoli…
Vogliamo tornare a casa presto, quindi andiamo al supermercato che ci hanno detto essere vicino casa (che ancora non avevamo visitato) per fare la spesa.
Parliamo del concetto di vicino per un australiano: visto che tra due città ci sono in media 1000 km, forse ci dovevamo aspettare che il supermercato non fosse dietro l’angolo. Ci vogliono 20 minuti di autobus per arrivarci.
Dopo 10 minuti di cammino dal capolinea arriviamo ad un centro commerciale. Il supermercato, ci dicono, è al livello 2, scendendo.
Il livello della strada è infatti il livello 4 del centro commerciale. Ormai siamo qui, diamo un’occhiata. Giriamo per mezz’ora tra i negozi, senza vedere la fine di questo sterminato edificio. Saliamo al piano superiore, poi ancora a quello di sopra. Siamo al livello 6 e c’è ancora un altro piano. Non ce la possiamo fare.
Ce ne torniamo fino al piano 2 ed andiamo a fare la spesa.
Una curiosità, ad ogni piano c’è almeno un parrucchiere ed un paio di centri per manicure.
Tornati a casa, Ale decide di fare merenda (perché in tutto questo si son fatte le 17.30). Si tosta una fetta del pane strano che hanno qua e si mette a guardare dal vetro della finestra. In un attimo il davanzale si riempie di cacatua.
Decidiamo di dare un pezzo di pane anche a loro. Prendono il pane ma non rimangono soddisfatti. Forse dovevamo bagnarlo in acqua e miele come faceva Julie.
E domani… A Manly… Son tre giorni che lo diciamo. Speriamo sia la volta buona.

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